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Il cielo e la solidarietà

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

Il cielo e la solidarietà

Diversi anni fa, durante una visita ad una famiglia, un anziano e distinto signore, reduce della battaglia di El Alamein, mi raccontò di quella storica ritirata. Attraverso il deserto nordafricano, insieme ad altri compagni dovette effettuare una lunga marcia per ricongiungersi alle truppe italiane superstiti, dislocate in Libia. “Da quell’esperienza nel deserto – diceva – mi sono rimaste impresse due cose. La prima, il cielo stellato. Non ho mai più visto un cielo stellato così luminoso e vicino, che sembra farti toccare la presenza di un mistero che avvolge tutti e fa sentire fratelli. La seconda cosa che ho imparato è stata la solidarietà. Se in quel frangente non ci fossimo aiutati l’un l’altro e se ciascuno di noi non ce l’avesse messa tutta per fare la propria parte, davvero non saremmo arrivati vivi a destinazione”. Mi colpì molto questo racconto e mi torna spesso alla memoria. Un’altra testimonianza. Tina Anselmi è scomparsa proprio in questi giorni. Ebbe a dire che, quando assistette all’ennesima strage perpetrata dai nazifascisti, in quel preciso istante capì che “per cambiare il mondo bisognava esserci”. Quel momento segnò il suo ingresso nella lotta partigiana come staffetta e poi il suo successivo e generoso impegno in politica. Ci sono eventi nella vita di un singolo uomo o di un’intera società che non ammettono indugi o tentennamenti. Interpellano personalmente, obbligano a scendere in campo e a non assistere da spettatori. Quello che stiamo vivendo sempre più si configura come un tempo così, in cui non si può stare a guardare ma si deve intervenire e scegliere da quale parte stare.

Penso in modo particolare alle popolazioni colpite dal terremoto, nell’Italia centrale, senza più una casa sotto il cielo. Solo poche centinaia di chilometri ci separano da loro e la forza del terremoto ha scosso e inquietato anche noi. L’espressione “fratelli d’Italia” del nostro inno nazionale, cantato nelle sfide sportive, acquista ora un significato più vero. Nel nome della solidarietà, che ci rende uno stesso popolo, a ognuno è chiesto – nel limite delle sue possibilità – di dare un contributo per sostenere il processo di ricostruzione di quei centri abitati, straordinari anche dal punto di vista culturale e religioso. Ma c’è pure una solidarietà più ampia, che valica i confini delle nazioni e che siamo chiamati ad offrire nei confronti di altri sfollati e senza casa, che provengono da altre terre, ma sempre sotto il medesimo cielo. Una solidarietà che va oltre l’appartenenza ad uno stesso popolo e si radica in una fraternità più profonda, che proviene dall’essere uomini, figli di Dio, portatori della sua stessa immagine. Nel viaggio di ritorno dalla visita in Svezia, in occasione dei 500 anni della Riforma, in un’equilibrata risposta ad una giornalista, papa Francesco ha detto che “non è umano chiudere le porte; non è umano chiudere il cuore”. Allo stesso tempo, distinguendo tra migranti e rifugiati, ha riconosciuto che è “imprudenza nei calcoli… ricevere più di quelli che si possono integrare” e che ci vuole tempo per “sistemare” tutti ed avviare politiche di effettiva “integrazione”. Ancora una volta, il Papa ha esortato i popoli europei a non avere paura e a non tirarsi indietro dinanzi a questa sfida. Facciamo attenzione anche noi a non prendere paura lì dove non c’è da temere. A considerare una minaccia dodici donne e otto bambini o un manipolo di immigrati. A chi soffia sul fuoco della paura, esacerbando le inevitabili contraddizioni della vita insieme, domando se sta cercando davvero il bene comune. Sotto lo stesso cielo, tutti possono trovarsi nelle ristrettezze e aver bisogno della solidarietà dell’altro. Ci è chiesto, in questo tempo, di saper fare la scelta giusta che spesso non è la più comoda.

Don Alessio Magoga

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