Il vescovo di Tunisi sul Nobel per la Pace a quattro tunisini
Mons. Antoniazzi intervistato dalla Radio Vaticana.
Quando avversari politici dichiarati riescono a discutere per il bene del loro popolo, invece che dirimere le divergenze con le armi, è la dimostrazione che il dialogo, nella sua forma più alta, non è mai un utopia. È ciò che il Nobel per la pace assegnato ieri al Quartetto tunisino ha voluto premiare: ne è convinto l’arcivescovo di Tunisi, mons. Ilario Antoniazzi, testimone diretto di come la “Rivoluzione dei Gelsomini” abbia proposto la Tunisia come modello imitabile di transizione democratica ai Paesi del Nord Africa, ma anche a quelli di altre zone di conflitto. Al microfono di Alessandro De Carolis, il presule racconta la sua reazione alla notizia dell’assegnazione del Nobel:
R. – Quando l’ho saputo, ho dato un grido di gioia per il fatto che ho vissuto gran parte di questo passaggio con la nuova Costituzione e ho potuto constatare il gran lavoro che è stato compiuto da tutto il popolo tunisino e anche da questo Quartetto, soprattutto, per il fatto che non erano della stessa mentalità, dello stesso partito politico. Basti pensare, ad esempio, alla differenza che c’era tra Ennahda e Nidaa Tounes: Nidaa Tounes ha fatto tutta la sua politica contro Ennahda, che è un partito religioso, ed eravamo quasi arrivati alla guerra civile, tutti avevamo paura… Anche quando ci sono state le elezioni, molti stranieri che erano qua sono scappati perché, ci siamo detti, “succederà qua quello che è successo in Libia…”. Invece, la meraviglia è stata quando si sono seduti insieme per rifare la Costituzione e questo passaggio che ha portato poi alle elezioni, al governo di intesa nazionale e alla nuova Costituzione: ha dimostrato al mondo intero che, dopo tutto, anche se non si è della stessa opinione, magari nemici giurati, quando si tratta di realizzare qualcosa di positivo, la pace o i diritti dell’uomo per il proprio popolo, si può ragionare e si può lavorare insieme anche se non si è d’accordo. E veramente, su questo punto la Tunisia ha dato un esempio, credo, anche a certi Paesi del mondo che sono più sviluppati, più progrediti e che non sono riusciti a fare quello che ha fatto la Tunisia.
D. – Quindi, potremmo definire il Nobel della Pace di ieri anche una sorta di “Nobel al dialogo”?
R. – Certamente. Qui è stato presentato come il “Nobel del Quartetto per il dialogo nazionale”. E il popolo – dopo che anche con le votazioni ha dimostrato di essere all’altezza di questo Quartetto che ha lavorato, andando al voto senza il minimo spargimento di sangue – ha accettato il dialogo che oggi stiamo vivendo. E poi, la cosa molto interessante: dopo tutti gli attentati, anche e soprattutto quello della spiaggia di Sousse, noi come Chiesa siamo invitati parecchie volte a dare l’opinione della Chiesa. E questo è quello che è nuovo, qui: nello stesso albergo di Sousse, dove è avvenuto l’attentato, io sono andato per due incontri – a livello quasi nazionale – per dire l’opinione della Chiesa sul perdono, sulla convivenza, cosa la Chiesa può apportare su questo punto. Siamo stati accolti e apprezzati per tutto quello che ho detto. Fino a qualche anno fa questo sarebbe stato impensabile. Anche questo è il frutto di questo dialogo che si è aperto anche verso le religioni e verso di noi.
D. – Come ha cambiato la cosiddetta “Rivoluzione dei Gelsomini” il volto della Tunisia, da allora a oggi?
R. – Ha cambiato nel senso che c’è maggior rispetto per l’altro, si accetta di più la diversità. La nuova Costituzione, per esempio, accetta attualmente che ci sia libertà di coscienza, che è proibito trattare l’altro da miscredente, cosa che prima era normale. C’è stato tutto un cambiamento di mentalità e questo credo sia una delle più grandi riuscite di questa “Rivoluzione dei Gelsomini”.
D. – Anche dalla Libia, in questi giorni, in queste ore potremmo dire, stanno arrivando segnali di distensione dopo tanta violenza. Possiamo dire che l’esempio della Tunisia può innescare un effetto-domino per tutto il Nord Africa?
R. – Io lo spero bene, per il fatto che i libici che erano scappati dalla Libia durante la guerra, venivano qua, in Tunisia – sono venuti a migliaia, i libici: a un certo momento, la Tunisia ne era piena – ed era un’occasione per loro di entrare in contatto con un popolo che aveva superato le diversità e che era arrivato al dialogo, che non è quello delle armi, ma il dialogo positivo, costruttivo… Credo che questa esperienza abbia avuto un’influenza positiva. Naturalmente, adesso che la Tunisia ha avuto il Premio Nobel per la Pace, noi ci auguriamo che la libertà aumenti sempre di più e che si possa vivere in pace. Credo che questa sia una bella spinta per noi, qua in Tunisia.
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