PONTE DELLA PRIULA: mons. Toffoli, sacerdote dell'essenzialità
Così il Vescovo lo ha ricordato nell'omelia del funerale
Questa mattina nella chiesa tempio votivo di Ponte della Priula il vescovo Corrado ha presieduto la liturgia eucaristica di commiato di mons. Francesco Toffoli. Ecco l'omelia.
"Sceso dalla barca Gesù vide una grande folla ebbe compassione di loro e si mise ad insegnare loro molte cose.
Colpisce che il primo gesto in cui si traduce concretamente la compassione di Gesù sia il dedicarsi all’insegnamento: si mise ad insegnare loro molte cose.
Queste molte cose non sono certo la storia, la geografia, le scienze e la matematica, ma la Parola; una Parola che però egli “insegna”.
Altre volte Gesù traduce la sua compassione guarendo gli ammalati presenti o liberando le persone dal potere del maligno, ma qui e in molti altri passi Gesù attua il suo ministero proprio insegnando. Facendo concretamente ciò che il titolo che spesso gli assegnavano comportava; Maestro.
Nel prosieguo del brano Gesù appare totalmente assorbito da questo ministero di insegnamento che non si accorge che il tempo sta passando: “Essendosi ormai fatto tardi” dice Marco, e ci fa capire che furono gli apostoli a fargli osservare che era diventato tardi e a invitarlo a congedare la folla. La reazione di Gesù sembra quasi un po’ spazientita: Voi stessi date loro da mangiare. Cioè fate qualcosa anche voi... almeno sfamateli! Io devo insegnare!
Certo, poi Gesù moltiplica i pani e i pesci quindi è ben lungi dal disinteressarsi della folla e tuttavia questo brano fa capire quanto Gesù ritenesse importante l’insegnamento.
Leggendo questo passo non mi è stato difficile applicarlo a d. Francesco. Il suo ministero è stato certamente vario e complesso come era ricca e poliedrica la sua personalità, ma l’idea centrale attorno alla quale egli lo ha tradotto in pratica è (almeno così mi sembra) l’insegnamento…
Non certo dimenticando le altre dimensioni del suo ministero: ministro dei sacramenti, guida della comunità). No. Ma facendo sì che anche le altre dimensioni ruotassero, per così dire, attorno a quella: “maestro della parola”.
Ricordiamo un documento di qualche anno fa: “Il presbitero maestro della parola, ministro dei sacramenti e guida della comunità”.
Ed è, per certi aspetti, inevitabile che sia così; ogni prete interpreta il suo ministero a partire o attraverso un’intuizione attorno alla quale - possibilmente in modo armonico - si articolano tutte le altre.
Così è stato per d. Francesco: egli sentiva molto forte questo mandato di insegnare e si è sempre impegnato a portarlo seriamente ad attuazione.
Con la preparazione personale
Con l’individuazione di iniziative di attività in cui tradurlo in pratica.
Sforzandosi di arricchire la sua proposta con aperture e approfondimenti culturali che dessero consistenza e solidità al suo insegnamento… che dessero voce alla Parola perché fondamentalmente era questo che lui intendeva insegnare.
Ho avuto modo di guardare il sito che egli aggiornava continuamente fino al giorno di Natale, quando comunicò che l’avrebbe sospeso a causa del virus di cui era il risultato positivo. Ebbene quel sito è una miniera: c’è di tutto, ma affrontato con serietà, con approfondimenti, con sapienza.
Questa concentrazione sull’aspetto dell’insegnamento lo rendeva anche esigente. Esigente con le persone, certo. Questo è stato un tratto della sua personalità e del suo ministero. Ma occorre dire che prima di tutto era esigente verso sé stesso.
E a questo proposito, nel brano che abbiamo ascoltato c’è un’altra cosa che mi colpisce ed è quando Gesù “costringe” (l’evangelista usa proprio questo verbo) i discepoli a salire sulla barca e a passare all’altra sponda del lago. Li costringe (quasi a forza) a lasciare quella scena in cui potevano finalmente godere un po’ di successo, dopo la moltiplicazione dei pani, nella quale un po’ di gloria veniva certamente anche a loro.
E questo mi ha fatto pensare a quanto poco d. Francesco abbia cercato il successo. A quanto poco abbia inteso il ministero come fonte di guadagno o di autoesaltazione.
Mi ha sempre colpito la sua essenzialità... la concreta povertà che caratterizzava il suo vivere. Povertà materiale, dalla canonica dove abitava, alla macchina che usava, ai vestiti che indossava... ai soldi (pochi) del suo conto in banca.
Ma anche povertà interiore, cioè libertà spirituale.
Questa grande libertà dalle cose e da sé stesso si è tradotta anche in una sorprendente disponibilità quando si è trattato di lasciare la parrocchia. Non ho affatto avuto bisogno di “costringerlo”. L’ho trovato di una disponibilità esemplare che mi ha molto impressionato.
Non avrei mai pensato che dopo 36 anni di presenza avesse accettato senza la minima resistenza di lasciare la parrocchia che amava sinceramente, disponibile a continuare - come ha realmente fatto - il suo ministero in un’altra situazione, a S. Polo. Dove prima con d. Lucio e poi con d. Alberto ha condiviso - con grande semplicità - vita e ministero.
Ho ricevuto in questi giorni tante attestazioni - semplici e più articolate- di stima, di apprezzamento, di vero affetto verso d. Francesco. E questo, accanto al dolore per la sua scomparsa, mi fa veramente piacere. Ma insieme mi fa pregare con tutto il cuore e con tutta l’anima perché il Signore continui a donare sacerdoti così alla nostra Chiesa.
Ne abbiamo davvero bisogno; pur con i limiti che essi possono avere, ma sacerdoti secondo il cuore di Dio.
Invochiamo la fedeltà misericordiosa del Signore sul nostro fratello d. Francesco.
Lo accolga nella gioia del paradiso che egli riserva ai suoi servi fedeli.
Perdoni tutti i suoi peccati e gli faccia contemplare e godere le gloria del suo volto".
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