Editoriale
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UNA CHIESA SBIADITA O COME GIOVANNI BATTISTA?

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

Parole chiave: profezia (1), chiesa (31), politica (17), morale (2), riforma (2), papa Francesco (18), giovani (36)
UNA CHIESA SBIADITA O COME GIOVANNI BATTISTA?

Una recente indagine sociologica, pubblicata lo scorso 29 luglio da “Repubblica” con il commento di Ilvo Diamanti, fa emergere che, per quanto riguarda la morale e la politica, “la Chiesa sbiadita non guida più gli italiani”. L’aggettivo “sbiadita” è ripreso dal titolo di una pubblicazione del sociologo Luca Diotallevi sulla partecipazione alla messa in Italia dal 1993 al 2019 e intitolata appunto “La messa è sbiadita”: uscita lo scorso marzo, ribadisce il fatto che nel corso di questi ultimi trent’anni la presenza all’eucaristia domenicale è calata in modo importante (e mancano sempre di più le donne e i giovani). Tornando all’indagine della “Repubblica”, si evince che la Chiesa – o, meglio, le indicazioni magisteriali di Papa e vescovi – è sempre più marginale nel vivere quotidiano delle persone: per quanto riguarda le scelte morali e le decisioni politiche, gli italiani si lasciano “condizionare” sempre meno da quanto dice la Chiesa.

Ci sia consentita, però, una considerazione. Ritenere che nel passato ci sia stata una “età dell’oro” in cui la Chiesa era in grado di plasmare la società secondo i propri principi è una presunzione palesemente ingenua. Solo per citare due macro-episodi secolo scorso, l’appello per la pace di Benedetto XV e di Pio XI caddero nel vuoto alla vigilia rispettivamente della Prima e della Seconda guerra mondiale. Non ci fu affatto, da parte degli italiani e soprattutto da parte di chi allora deteneva il potere, né ascolto né una mobilitazione per la pace! Venendo a fatti più recenti – e che il nostro ripercorrere i 110 anni della storia de L’Azione ci aiuta a focalizzare (vedi le pagine 14-16 di questo numero) –, nonostante la mobilitazione massiva della Chiesa italiana, nel ’74 il referendum sul divorzio e nell’81 quello sull’aborto non passarono. La Chiesa – se ne prese coscienza proprio allora in modo chiaro – si scoprì “minoranza”. Le votazioni del ’48 – quelle che videro al DC trionfare con quasi il 49 per cento delle preferenze – avevano dato l’illusione di una società italiana fortemente legata ai principi cristiani (o comunque sensibile agli appelli della Chiesa): a ben guardare, però, anche in quel frangente non può essere ignorato il fatto che il restante 51 per cento era di un’altra linea politica e in buona parte animato da sentimenti anticlericali o comunque distanti dal “sentire” della Chiesa. Come a dire che la società italiana non è mai stata un blocco monolitico “docile e ossequiente” alle indicazioni del magistero ecclesiastico. Non c’è stata alcuna età dell’oro, anche se – dobbiamo riconoscerlo – la partecipazione alla vita ecclesiale dei decenni che ci fanno preceduto (dal Dopoguerra fino agli anni ’80 e ’90 del secolo scorso) era altra cosa rispetto a quella di oggi.

Tutto bene, quindi, perché non c’è alcun tipo di problema? Oppure tutto male, perché siamo dentro ad un processo di marginalizzazione della Chiesa che finirà per espellerla dai processi vitali della società italiana? Va dato atto della capacità di alcuni pastori e di alcune parrocchie di coinvolgere in modo importante le proprie comunità e di intercettare le domande di senso degli uomini e donne di oggi. Inoltre, va preso sul serio il fatto che, comunque, per non pochi italiani – come emerge dall’indagine di Repubblica – la parola della Chiesa, che magari non viene osservata fino in fondo, resta una riserva di senso o una posizione – condivisa o meno – con cui confrontarsi. La Chiesa oggi – e su questo Papa Francesco ci provoca sempre – forse è chiamata ad essere soprattutto fonte di ispirazione: un po’ come un moderno Giovanni Battista, che Erode Antipa, pur restando molto perplesso, ascoltava volentieri.

Alessio Magoga

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