ALTAMARCA: emergenza frane, che fare?
Ne hanno discusso i Vignaioli Indipendenti
La zona collinare che va da Segusino a Vittorio Veneto è unica al mondo per la sua conformazione geologica, prettamente argillosa. Una caratteristica che rende il territorio particolarmente adatto alla viticoltura, ma allo stesso tempo estremamente fragile, specie in occasione di piogge intense e prolungate. Da qui l’esigenza di riflettere sulle cause dei fenomeni franosi e di approfondire il problema del dissesto idrogeologico nel tentativo di contenerlo e, ancor meglio, di risolverlo.
La delegazione provinciale di FIVI ha voluto organizzare un convegno tecnico, che si è svolto sabato 4 maggio 2024 a Farra di Soligo, sull’Emergenza frane nel Trevigiano al quale hanno partecipato geologi, agronomi, viticoltori e rappresentanti delle istituzioni.
Un importante momento di condivisione, come ha spiegato Massimo Collavo, delegato FIVI della provincia di Treviso: “Abbiamo voluto chiamare a raccolta gli attori coinvolti in questa tematica per capire se ci sono i presupposti per un’azione comune volta a reperire risorse finanziarie ed una progettualità che non sia destinata a gravare solo sul singolo operatore”.
Per Lorenzo Cesconi, presidente nazionale FIVI, una sfida che deve necessariamente coinvolgere tutto il comparto mettendo in campo un approccio collaborativo: “Il dissesto idrogeologico è un problema ambientale che in Italia è particolarmente intenso a causa sia della tipologia del territorio che dell’intervento umano. Ricordiamo bene cos’è accaduto in Emilia Romagna e nelle Marche. Le conseguenze di allagamenti, frane e smottamenti hanno conseguenze pesanti, tanto in termini economici che ambientali. Per questo bisogna pensare non solo alla messa in sicurezza dei terreni ma anche e soprattutto a interventi e a strategie utili per prevenire i problemi”.
Secondo l’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che monitora costantemente le condizioni del suolo italiano e i fenomeni disastrosi dovuti al dissesto idrogeologico, l’Italia è tra i paesi europei più esposti al problema. Stando al Rapporto del 2021, i due terzi delle frane registrate in Europa hanno interessato proprio il nostro Paese, con più di 620.000 episodi censiti. Sempre secondo i dati dell’ISPRA, in vent’anni il Ministero dell’Ambiente ha stanziato quasi 7 miliardi di euro, per un totale di oltre 6 mila progetti finanziati. Ma le richieste per la messa in sicurezza del territorio ammonterebbero a 36 miliardi di euro.
Per ridurre il rischio dovuto al dissesto idrogeologico è fondamentale insistere su azioni di previsione, prevenzione e mitigazione degli effetti: “Quando si verifica una frana, capita che i cittadini se la prendono con i viticoltori – ha affermato nel suo intervento il geologo Simone Bortolini – in una guerra che non giova a nessuno. Ognuno può fare la differenza, a patto che ci si impegni nella conoscenza del proprio territorio. Spesso mi interpellano e mi chiedono di sistemare la frana e di fare in modo che non ne vengano più. La questione però è più complessa, perché quando interveniamo sulla frana automaticamente creiamo una crisi a livello sistemico generale. L’aspetto cardine resta quello relativo alla gestione dell’acqua che deve essere considerata e gestita in un’ottica globale. L’acqua non va solo incanalata e spostata, altrimenti a spostarsi è anche il problema. È dunque solo la competenza plurima che va a risolvere il problema”.
Michele Coppe, responsabile dell’ufficio Vincolo Idrogeologico dell’Autorità Forestale del Veneto ha posto l’attenzione sulle competenze della Regione e sulle principali criticità esistenti nell’Alta Marca, dove anche recentemente si sono registrati episodi franosi complessi (con particolare riferimento ai comuni di Valdobbiadene, Farra di Soligo e San Pietro di Feletto): “E’ necessario un approccio su vari livelli, partendo da una analisi approfondita del terreno, per proseguire con la redazione di progetti collettivi e con azioni di collettamento di reflussi idrici, fino a un intervento sui così detti riporti di terreno”.
Pamela Giani, agronoma e già dirigente tecnico del Consorzio di Bonifica Toscana Nord, ha portato all’attenzione della platea del convegno su un progetto che ha coinvolto una sessantina di comuni dell’Appennino toscano, tra Pistoia e Lucca, e che ha fatto leva su un approccio collaborativo: “Siamo partiti dal termine custodire il territorio e abbiamo messo in rete l’agricoltore, i comuni, le province, gli enti montani e le associazioni allo scopo di aumentare l’efficacia delle attività, ad esempio di pulizia e disboscamento, di controllo e di monitoraggio, di utilizzo di macchinari e di risorse umane, minimizzando i costi. Coinvolgere e responsabilizzare chi lavora e chi vive sul territorio sono state le parole d’ordine. I risultati sono stati ottimi”.
Il senatore Luca De Carlo, presidente della Commissione Agricoltura, ha fatto sintesi soffermandosi sulla recente normativa che riconosce all’agricoltore il ruolo di custode del territorio: “Problemi complessi richiedono sempre risposte complesse. Chi sta sul territorio, i vignaioli nello specifico, sono paladini dell’ambiente e devono essere sostenuti in ogni modo dalle istituzioni. Gli esempi virtuosi ci sono. Vanno assolutamente replicati”.
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