La forza del seme
La riflessione sulla Parola di Dio domenicale.
Domenica 16 luglio - XV del tempo ordinario - anno A - terza settimana del Salterio - colore liturgico verde Is 55, 10-11; Sal 64; Rm 8, 18-23; Mt 13, 1-23 Tu visiti la terra, Signore, e benedici i suoi germogli
Gesù amava i campi di grano, le distese di spighe, di papaveri, di fiordalisi, di margherite. Dice: “Neanche Salomone in tutta la sua bellezza fu mai vestito come i fiori del campo”. E oggi osserva un seminatore e nel suo gesto intuisce qualcosa di Dio. Ma al centro di tutto sta il seme, cioè la Parola. I quattro quadretti che vengono descritti da Matteo raccontano esiti diversi dell’unica semina, dello stesso annuncio della Parola. Il mio Dio contadino, fecondatore infaticabile delle nostre vite, ostinato nella fiducia, un Dio seminatore: mano che si apre, inizi che fioriscono, primavera. Questa parabola contiene la certezza che domani io sarò più vivo di oggi. E questo non per mio merito, G ma per merito della seminagione perenne di Dio in me, che sono terra di sassi e spine, eppure capace di ricevere e dare vita. La logica che guida il gesto abbondante del Seminatore della parabola non è certo quella del guadagno o del tornaconto. Il Seminatore Gesù lancia ovunque il seme della Parola, non è un contadino tirchio, non scarta i terreni, non fa categorie o preferenze. Il seminatore della parabola è eccessivo, illogico: lancia manciate generose anche sulla strada e sui rovi. È uno che spera anche nei sassi, un prodigo inguaribile, imprudente e fiducioso. Un sognatore che vede vita e futuro ovunque. Una pioggia continua di semi di Dio cade tutti i giorni sopra di noi. Semi di Vangelo riempiono l’aria. Si staccano dalle pagine della Scrittura, dalle parole degli uomini, dalle loro azioni, da ogni incontro. Mi ha sempre colpito questa immagine evangelica del seminatore che a piene mani e braccia, con grande entusiasmo, semina la “Parola” in qualsiasi terreno. Forse nella nostra pastorale ordinaria è venuta a mancare proprio la semina della Parola di Dio, dando per scontato che fosse già seminata. Tempo di semina il nostro! Questo ci porta a concentrarci più su quello che abbiamo da donare noi che sulle condizioni che devono avere i destinatari del Vangelo. Il gesto della mano che semina è ardito: si fida della forza del seme e si affida alla capacità recettiva del terreno, vale a dire alla libertà delle persone. Ciò che noi abbiamo da donare non ci appartiene. È in se stesso dono senza pretesa. Ed è nella misura in cui si dona senza pretesa che si può ottenere risposta. Non ci preoccupiamo troppo delle condizioni che gli altri devono avere, ma di quanto, per grazia, possiamo loro donare. Il seme della Parola ha in sé la sua forza: “Il Verbo si è fatto carne e ha piantato la sua tenda in mezzo a noi”. È facile intuire che questa parabola anticipa la vita di Gesù, scioglie le logiche più profonde che porteranno il suo cammino fino al Calvario. La Parola non si fa largo come un rullo compressore, ma con la piccolezza e la debolezza di un seme gettato sulla terra. La sua potenza è indiscussa, è la qualità dell’accoglienza che fa cambiare l’esito! Allora, per quanto io sia arido, sterile, spento, nasce la gioia, perché Dio continua a seminare in me, senza sosta. Contro tutti i rovi e le spine, contro tutti i sassi e le strade, Lui vede una terra capace di accogliere e di fiorire.
Don Piergiorgio Sanson
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