![](https://lazione-naxos-space-250gb.fra1.cdn.digitaloceanspaces.com/lazione/stories/2024/11/29/1920x1080/0ffb3126-d897-445b-8564-2428348c843a.jpeg)
Stiamo per entrare in uno dei tempi forti dell’anno liturgico: l’Avvento. Con quali atteggiamenti vivere le settimane che ci accompagnano fino al Natale? Prendo tre verbi dalla Scrittura.
Il primo è «vegliare». In Luca 2,8 leggiamo: «C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge». Questi uomini tengono gli occhi aperti perché sanno che il gregge, da cui dipende la loro vita, è minacciato da predatori e ladri. Penso che anche per noi cristiani oggi sia necessario anzitutto aiutarci a vicenda a guardare con occhio vigilante «ciò che ci dà da vivere»: numerose sono le minacce alla dignità dell’uomo – se non proprio alla sua sopravvivenza – perpetrate sul lavoro e più ampiamente nella società. Ricordo un’attività fatta con i genitori del catechismo nella quale dovevano indicare quali erano i luoghi in cui facevano esperienza di Dio. Un papà soltanto scelse la figura dell’ufficio e replicò alla sorpresa degli altri dicendo: «In effetti non trovo Dio al lavoro. Sono io che ce lo porto, perché ce n’è bisogno».
Il secondo verbo è «partire». Tutta la vicenda dei Magi è un invito a coltivare la disponibilità a mettersi in cammino, guidati da una stella e dalla Parola: «Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino» (Mt 2,9). Questo secondo atteggiamento ci porta a metterci in sintonia con il cammino sinodale della Chiesa, con l’invito a farci pellegrini di speranza. Più concretamente, ci provoca sulla disponibilità che abbiamo a intraprendere strade nuove: il percorso diocesano intrapreso dallo scorso anno pastorale ha invitato tutte le Unità Pastorali a coltivare un «sogno missionario» ed a sperimentare cose nuove. Non si tratta di trovare la soluzione universale a tutti problemi (la gente non viene a messa, i giovani sono disinteressati alle nostre proposte…), ma di sperimentare – anche in modo limitato – modalità diverse di preghiera e di annuncio e poi di capire, facendolo e rileggendolo alla luce della Parola di Dio, qual è il successivo passo da fare. Questo però richiede da parte di tutti di lasciare da parte ogni passatismo, disfattismo e fastidio perché si devono cambiare le proprie abitudini. L’atteggiamento di chi si dispone a partire è il desiderio.
L’ultimo verbo è «aspettare». «Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore» (Lc 2,25-26). L’atteggiamento di Simeone è l’attesa abitata dallo Spirito, è il dare spazio alla preghiera perché lo Spirito faccia risuonare in noi quella promessa di salvezza che è per noi e per tutte le genti. Se faremo così, i nostri occhi vedranno il realizzarsi salvezza di Dio pur nelle contraddizioni della storia presente.
Suor Francesca Carla Sozzi,
Orsolina di S. Carlo - Ponte della Priula