Dopo il voto, rebus Europa
Ma a Strasburgo resiste una maggioranza pro-Ue. Domani, 28 maggio, l'incontro dei capi di Stato e di governo per valutare i risultati
Franco Pozzebon
26/05/2019

Sarebbe davvero interessante potersi intrufolare, martedì 28 maggio, alla cena dei capi di Stato e di governo, convocata dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk per “valutare i risultati delle elezioni” dell’Europarlamento e “iniziare il processo di nomina dei capi delle istituzioni Ue”, ovvero i presidenti della Commissione, dello stesso Consiglio e della Bce. Di regola il summit si svolge a porte chiuse e le conclusioni cui giungono i leader dei Paesi membri sono comunicate con documenti ufficiali e conferenze stampa piuttosto ovattate. Ma c’è da immaginare che questa volta voleranno gli stracci, perché la politica europea, alla luce della tornata del 23-26 maggio, si è ulteriormente polarizzata, fra “eurofili” (saranno ancora in maggioranza a Strasburgo) ed “eurofobi” (in significativo aumento). Stabilire, in queste condizioni, chi dovrà tirare le fila dell’Unione nei prossimi cinque anni sarà un rebus.

Affluenza in aumento. Alcune osservazioni possono essere condotte all’indomani della gigantesca prova di democrazia svoltasi in Europa a partire dall’affluenza alle urne. Un elettore su due ha espresso la sua preferenza, invertendo una tendenza in calo patologico dal 1979 (prima elezione a suffragio universale dell’Eurocamera): nel 2014 aveva votato il 42,6% degli aventi diritto, oggi siamo al 50,9%.L’Italia, pur sopra alla media Ue, esce col segno negativo, con un’affluenza ai seggi attorno al 56%, due punti in meno sul 2014.Balzo in avanti dei votanti in Polonia (+20%), mentre tra i meno affezionati alle elezioni Ue si confermano diversi Paesi del centro-est: Slovenia, Croazia, Bulgaria, Repubblica ceca, Slovacchia, i tre baltici. Qui sono arrivati i fondi comunitari, tarda invece a palesarsi – a quanto pare – lo “spirito” dell’Unione.

Il prossimo emiciclo. In queste ore al Parlamento europeo continuano ad affluire i dati delle elezioni svoltesi nei 28 Stati membri. Mancano al momento taluni risultati definitivi ma, stando alle ultime proiezioni sulla composizione del nuovo emiciclo diffuse qui a Bruxelles, si conferma una maggioranza di partiti pro Ue, e una rafforzata ma minoritaria presenza di deputati “euroscettici”. Su 751 seggi totali, i Popolari (l’assegnazione dei seggi è dunque da definire con maggior precisione) si attestano a 180 deputati, i Socialisti e democratici a 146; le due storiche forze politiche dell’assemblea escono assai “dimagrite” da queste elezioni.

Salgono invece a 109 seggi i Liberaldemocratici, forti del buon numero di deputati della coalizione francese che si ispira al presidente Macron. Avanzata significativa dei Verdi, 69 seggi, con forte apporto di tedeschi, francesi e britannici. Sommando le forze – pur diverse tra loro – considerate “europeiste” (popolari, socialdemocratici, liberali ed ecologisti) si arriva a 504 seggi. I Conservatori si fermano a 59 (in maggioranza polacchi), al gruppo Enf (con la Lega e Le Pen) vanno 58 seggi, all’Efdd (con i pentastellati e i Brexiteers di Farage) 54. I deputati della Sinistra unitaria scendono a 39; infine 37 i seggi di partiti o deputati non ancora affiliati.

Puzzle politico. Se poi osserviamo i dati nazionali, l’Unione europea si conferma come un vero e proprio pout pourri politico. Parliamo di votazioni “europee” (fra l’altro con 28 sistemi elettorali differenti), ma in realtà si è di fronte a una sommatoria di elezioni “nazionali”, nelle quali prevalgono ancora una volta trend, elementi e fenomeni di politica interna, in assenza di una vera opinione pubblica continentale, di partiti e di media transnazionali, e soprattutto in carenza di un vero e diffuso senso della “cittadinanza europea”. Così, sulla base dei risultati nazionali,a Bruxelles si parla – a torto o a ragione – di Italia e Ungheria come dei due Paesi più euroscettici dell’Unione.