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EUROPA: e Brexit sia!

Una nuova Europa: scenari, attese, speranze di chi resta, è uscito o vorrebbe entrare.

EUROPA: e Brexit sia!

A oltre tre anni dal referendum sulla Brexit del giugno 2016, i leader europei hanno dato il loro via libera all’accordo sull’uscita di Londra dall’Unione europea. La UE conta così oggi di 27 Paesi membri, di cui solo 19 hanno la moneta unica.

Ultime miglia. Lo scorso 21 gennaio il Parlamento britannico ha chiuso definitivamente l’iter per l’approvazione dell’accordo sulla Brexit e il 23 la Regina apponendo la sua firma (Royal Assent), sotto il testo dello European Union Withdrawal Agreement Act, ne ha sancito la sua entrata in vigore.

L’altro ieri mercoledì 29, dopo il via libera in Commissione dello scorso venerdì, la plenaria del Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza l’intesa raggiunta con Londra già lo scorso ottobre. Dalle ore 23,00 di oggi 31 gennaio 2020 inizia così un periodo di transizione che terminerà a fine anno (salvo proroghe) e servirà a Londra e Bruxelles per negoziare le future relazioni commerciali e non solo. Perché Regno Unito e Unione europea dovranno mettersi d’accordo su tantissimi settori: a partire dagli accordi commerciali da siglare, passando per la sicurezza e la difesa fino alla ricerca scientifica, gli scambi universitari, gli accordi per la tutela dell’ambiente.

La Gran Bretagna nella UE. La Gran Bretagna ha tratto molti benefici dall'adesione all'Unione europea avvenuta non alle origini ma solo nel 1973: la sua struttura sociale, come in ogni paese, è cambiata con il tempo e con essa anche il tenore dei legami con gli altri Paesi UE. Alcune delle innovazioni istituzionali volute dalle élite europee non hanno trovato consenso soprattutto tra le famiglie di ceto medio-alto e le comunità periferiche, in particolare dopo la crisi finanziaria dello scorso decennio, il crollo dei salari e l'arrivo di tanti immigrati.

Perché la Brexit? Al di là del percorso referendario e del dibattito interno tra partiti, classi sociali e aree del Paese, la questione può essere inquadrata in modo sintetico come la volontà di abbandonare un mercato – quello europeo – che tutto sommato stagna per l'apertura verso i mercati globali. La Gran Bretagna, storicamente protesa agli scambi, in questo nuovo secolo ha in qualche modo riscoperto la sua mai nascosta vocazione imperiale, in un contesto di economia globalizzata. Con il Commonwealth (organizzazione intergovernativa con scambi commerciali che comprende 53 Paesi), che esiste ed è vivo, la Gran Bretagna ha una porta in Asia con l’India e il Pakistan, e più a sud-est anche con la nuova Zelanda e con l'Australia, che è il primo paese di investimento cinese. Poi le si aprono ad ovest il Canada e gli Stati Uniti con i quali ha storiche e consolidate relazioni. Nel Commonwealth, inoltre, c'è anche il Sudafrica, che è la prima economia dell'Africa e tra i principali paesi emergenti (fa parte dei 5 paesi del BRICS assieme a Brasile, Russia, India e Cina).

L'uscita di Londra dalla UE, insomma, è in linea con le sue politiche economiche di ampio respiro e di ricerca di mercati con il fine di mantenere l'indipendenza anche dalla burocrazia in cui nel quotidiano ci attanaglia l’Europa comunitaria.

Conseguenze. Tra le tante conseguenze derivanti dalla Brexit, la composizione del Parlamento europeo è destinata ad avere un impatto profondo sul funzionamento delle istituzioni europee nel loro complesso.

L’uscita del Regno Unito scompaginerà anche gli equilibri tra i Paesi e tra le famiglie politiche dell'Europarlamento, con la riduzione a 705 seggi dai 751 attuali e il sorpasso in termini numerici del gruppo sovranista su quello dei verdi.

La decisione del Consiglio europeo 2018/937 del 28 giugno 2018 ha stabilito infatti che a seguito dell’addio del Regno Unito i 73 seggi ad esso spettanti verrebbero ripartiti nel seguente modo: 27 andranno distribuiti tra alcuni Stati membri, mentre gli altri 46 verrebbero accantonati in vista di eventuali allargamenti della UE. In concreto l’Italia avrà 3 europarlamentari in più.

Scenari futuri. Chissà come, tra tanti anni, sarà raccontato il lungo addio tra Londra e UE, sicuramente il divorzio più sofferto e complicato della storia. Mesi di colpi di scena, rinvii, vittime politiche, accordi falliti. Ma anche forse di opportunità per nuovi Paesi – in primis Albania e Macedonia del Nord, ma anche di Montenegro e Serbia – che potrebbero diventare nei prossimi anni membri di una UE con il baricentro più spostato Est. Nel frattempo risulterà più difficile per i cittadini europei andare a studiare e a lavorare al di là della Manica, così come gli scambi commerciali saranno soggetti a nuove regole.

Perché l’Europa non sia vissuta come un giogo da chi resta sarà necessario non scordare le ragioni della Brexit e soprattutto quelle che hanno portato i nostri padri alla costruzione di una casa comune.

Enrico Vendrame

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