INTERVISTA: don Marco Dal Magro, tra Brasile e Vittorio Veneto
Da chierichetto a “prete fidei donum” a Tanhaçu
Originario della parrocchia di Sant'Antonio Tortal, nel bellunese, don Marco Dal Magro ha quasi 39 anni ed è prete da 13. Da tre anni e mezzo, all’interno di un progetto di scambio missionario, reso possibile anche grazie all’8xmille alla Chiesa Cattolica, si trova nella parrocchia di Tanhaçu, nella diocesi di Livramento (Bahia), nel nord-est del Brasile.
Don Marco, sei in Brasile come “prete fidei donum” da oltre tre anni. Come è nata la tua vocazione?
«Le cose cominciano molto tempo fa, quando ero chierichetto nella mia parrocchia. Il mio parroco, don Francesco Prade, si faceva aiutare ogni tanto dal nipote, don Angelo Ranon, a quei tempi rettore del seminario. Una domenica, mentre aiutavo il sacerdote nella Messa, don Angelo mi ha parlato delle iniziative della pastorale vocazionale: i campi scuola per ragazzi. Ho subito accettato, e lì, ho conosciuto don Piergiorgio Sanson, allora padre spirituale del Seminario, che mi ha fatto un invito esplicito ad entrare in Seminario. Anche se ero piccolino – ero in seconda media – ho accolto l’invito. Non privo di dubbi, negli anni ho cercato di capire la mia vera vocazione e nel 2010 sono stato ordinato prete».
Quali sono state tue esperienze pastorali più significative? Prima di partire per il Brasile, hai vissuto il tuo ministero in alcune parrocchie della nostra diocesi…
«In questo cammino di formazione prima e di ministero poi sono stato in diverse parrocchie. Già durante gli anni del seminario, i seminaristi sono inviati al servizio in parrocchia: sono stato a Lentiai, vicino a Sant’Antonio Tortal, nei primi tempi; dopo sono stato a Sant'Andrea di Vittorio Veneto. Da diacono, sono stato invece inviato a Cordignano e vi sono rimasto anche da prete. Sono stato per sei anni nelle parrocchie di Cordignano, Santo Stefano e Villa di Villa, all'interno dell'Unità pastorale Pedemontana est, accompagnato da don Piergiorgio che mi aveva seguito anche nei primissimi passi. Sono stato trasferito poi a Conegliano, nell'Unità pastorale Conegliano Ovest, dove ho fatto gli ultimi tre anni fino al 2019. Quì, agli inizi del 2019, mi è arrivata l’inaspettata proposta brasiliana da parte del Vescovo, mons. Corrado Pizziolo. All'inizio ci ho pensato un po', poi ho accettato e ho detto il mio sì per questa iniziativa missionaria: una proposta un po' differente, perché di solito i missionari partono e basta; in questo caso io sono partito, ma anche un prete della diocesi di Livramento, don Nicivaldo, è venuto nella nostra diocesi. Un vero e proprio scambio tra chiese che sta continuando positivamente».
Quali sono i motivi che ti hanno spinto ad accettare la proposta di andare in Brasile e quindi di lasciare quello che è il contesto della nostra diocesi e delle nostre parrocchie…
«Anzitutto, mi era chiaro fin dai tempi del seminario che, quando uno diventa prete, lo diventa per il mondo intero. Non ho mai scelto il posto dove andare, ma ho sempre accolto quello che il vescovo mi proponeva, convinto che fosse lo Spirito Santo che mi stava invitando. Per cui, ho pensato: “Perché no?”. È un salto geografico, certo, cambiano molte cose e anche il tipo di esperienza pastorale è diverso: essere sacerdoti in Brasile è ben diverso dall’esserlo nella nostra diocesi. Ho accettato, fidandomi e lasciandomi andare sull'onda dello Spirito Santo. Inoltre, a Livramento sarei stato accolto da un vescovo originario di Vittorio Veneto, don Armando Bucciol: non è stato proprio un salto nel vuoto e questo mi ha tranquillizzato molto».
Sei è partito nel 2019 e, oltre alle fatiche iniziali, come conoscere la lingua, ambientarsi in un contesto diverso, hai incontrato il covid... Com’è andata?
«Sono partito a fine novembre 2019 e sono rimasto nella città di Livramento insieme col vescovo don Armando fino a febbraio 2020. Poi sono entrato come parroco a Tanhaçu e ricordo molto bene che poco dopo, il 19 marzo, in città cominciava il lockdown. È stata una sfida non poter conoscere fin da subito la mia parrocchia e le sue persone come avrei voluto. Forse ho avuto la possibilità, diciamo così, di entrare in parrocchia con un po' più calma, perché il covid non permetteva di fare tante cose che avrebbero richiesto molto tempo. Ho avuto la possibilità di capire meglio come funzionava questa comunità. Sono cose che abbiamo vissuto tutti “alla stessa finestra”. Un po’ alla volta abbiamo provato a capire cos’era possibile fare e anche qui, a Tanhaçu, siamo diventati tutti tecnici audio, video maker… Abbiamo affrontato la sfida. Per fortuna ora la situazione si è normalizzata e pian piano è ripartito tutto, anche dal punto di vista pastorale».
Dopo tre anni di Brasile, quale aspetto della chiesa brasiliana vedi come fatica e quale altro aspetto consideri come un'opportunità, anche per la chiesa italiana e per la nostra di diocesi?
«Punto debole è sicuramente la grandezza del territorio del quale un parroco deve occuparsi. La mia parrocchia è grande oltre 1200 chilometri quadrati, non distante dai 1400 che occupano l’intera diocesi di Vittorio Veneto! Non è possibile avere qui la stessa attenzione e presenza che un sacerdote ha in Italia, come presenziare al catechismo o in altre attività parrocchiali; a Tanhaçu non è possibile se non in rari momenti. Diventa difficile creare quel legame di amicizia e di relazione che da noi è più immediato. Sicuramente questo è un handicap delle parrocchie brasiliane».
E un punto di forza?
«L'altro lato della medaglia è l’aiuto e la disponibilità che molte persone danno a sostegno del sacerdote. Non senza difficoltà, certo, ma sicuramente con grande generosità. Se c'è una cosa che anche noi possiamo accogliere dalla Chiesa brasiliana è proprio questa capacità di coinvolgimento, in cui ci si suddivide i compiti e si contribuisce alla vita della comunità facendo quello che è possibile. Anche qui in Brasile la gente lavora, anche qui la gente ha difficoltà… però le persone si rendono disponibili e prendono a cuore la propria comunità. Un’altra cosa bella della Chiesa brasiliana è l’entusiasmo che porta a vivere in allegria anche le varie iniziative pastorali».
Un po' di questo calore, lo porterete in Italia, in agosto, con un gruppo di giovani...
«Quando sono venuto in Brasile, il vescovo mi ha detto che doveva essere uno scambio tra due chiese. E l’ho preso sul serio. Così, quando la direttrice del Centro Missionario - Maria Grazia Salmaso - mi ha chiesto se potesse venire in Brasile con un gruppo di giovani italiani per un viaggio missionario, sono stato ben felice di accettare; però, ho lanciato subito la proposta che anche un gruppo di brasiliani potesse poi venire in Italia. Ho trovato subito le porte aperte a questo è stato molto bello. Ci stiamo organizzando: da fine agosto fino al 9 settembre saremo in Italia, con un gruppetto di nove giovani che conosceranno la nostra diocesi. Sarà un insieme di esperienze di vita e di fede: i nostri giovani conosceranno qualcosa che è fuori dal loro orizzonte. Sono molto emozionati: è un viaggio che per loro sembrava impossibile e lo vivono come un dono grande. Mi affido e li affido alle vostre preghiere».
AM
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