LETTERATURA: intervista a Luciano Cecchinel sul senso della poesia
In occasione della Giornata della Poesia, lo scorso 21 marzo, abbiamo chiesto il parere del poeta di Lago
«Poeta di primissimo livello, Luciano Cecchinel è stato indicato come tale da interpreti e critici straordinari, tutti incantati dall’incontro con la sua poesia». Abbiamo preso a prestito le parole di Clelia Martignoni che, nel numero monografico di Finnegans da poco uscito nelle librerie e dedicato al poeta di Lago, ha così fissato la statura e la posizione del nostro poeta nel mondo. Non potevamo che chiedere a lui, grati delle sue risposte, il ruolo e i significati della poesia oggi.
Che senso può avere la poesia ai giorni nostri?
«Per chi la scrive innanzi tutto di un confronto diretto con se stesso. Un modo o almeno un tentativo di autoconoscenza: certo secondo la critica in quell’esercizio si liberano anche le pulsioni inconsce, che non sempre arrivano a decantarsi con chiarezza. In questo senso il tentativo poetico, pur se rimane un po’ oscuro a se stesso, funge anche da terapia. Mi ricorre qui, al proposito, alla mente che Cesare Pavese asseriva che la poesia è a suo modo sempre un saccheggio dell’infanzia. Chissà, questo lo aggiungo io, magari attivata da qualche peculiarità interiore, sia pur essa da intendersi come malformazione».
Ma qual è in generale il movente della poesia, ciò che spinge a misurarsi col foglio bianco?
«Io certo posso rispondere con relativa cognizione di causa per me - penso però che ciò possa valere anche per altri - e per quanto mi riguarda è in generale un senso interiore dell’ineffabile derivato da suggestioni di ordine paesaggistico o affettivo: è la lingua paralizzata dall’inutilità del dire rispetto al sentire. Ma arriva prima o poi il tempo di provare a mettere sulla carta qualcosa che possa valere da innesco, al fine di future evocazioni, della rappresentazione interiore sperimentata. Questo peraltro per la poesia prettamente lirica. C’è anche la poesia civile e qui hanno un ruolo preponderante il senso etico e di concerto i moti di sdegno e anche di ripulsa che il vivere sociale spesso implica».
Quindi la poesia civile ha dalla sua un’attualità emotiva che le dà maggiore impatto e quindi campo di fruizione. È così?
«È indubitabilmente così. La poesia volutamente civile, sia essa a matrice etnologica, ecologica o politica, corre peraltro sempre il rischio di denunciare i limiti dell'epoca che la inscrive, quando il carattere della vera poesia sta nel fatto di sconfinarvi. La poesia civile ha poi sempre incombente il pericolo della retorica, che si fa viepiù minaccioso lungo il vaglio del tempo».
La poesia, specie molta di quella odierna, sembra porre particolari difficoltà di accostamento.
«La poesia è un messaggio altamente formalizzato - si pensi all’armamentario del codice retorico - ai fini di condensare in un numero relativamente limitato di parole una molteplicità di significati. Zanzotto ha detto al proposito che la resistenza che fanno le parole al passaggio dei contenuti è paragonabile a quella della corrente rispetto al filo metallico che la trasporta: proprio questa resistenza produce la luce elettrica e analogamente la resistenza delle parole rispetto al carico dei significati produrrebbe la luce della poesia. E in questo processo, passibile di rigenerazione ad ogni lettura, stanno sia la difficoltà sia il fascino di questo tipo di espressione».
Elvira Fantin
(Da L'Azione del 21 marzo 2021, pag. 3)
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