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La disillusione democratica in Tunisia

Sul fronte sud del Mediterraneo la situazione geopolitica è sull’orlo di un collasso: proteste per il caro vita un po’ ovunque, prolungamento del pantano libico, le illusioni perdute in Tunisia

La disillusione democratica in Tunisia

In questa estate dalle temperature a tratti insopportabili e dai numerosi incendi nei paesi dell’Europa mediterranea nelle coste della vecchia Cartagine. Un po’ distratti dalla pandemia prima e dalla crisi ucraina poi ci siamo scordati dei paesi del Nord Africa. Eppure il caos libico continua ancor più proprio per la presenza di mercenari al soldo di Mosca e Ankara, gli sbarchi di migranti sulle nostre coste non diminuiscono, gli effetti della crisi del grano si fanno sentire a livello sociale.

Un mare appiattito dalla calura di luglio e una profonda crisi politica nel Paese spingono per favorire opportunità agli stessi tunisini per salire sui barconi verso l’Italia. I dati sulle persone sbarcate in Italia in queste settimane confermano la provenienza dei migranti. Sono aumentate le partenze per l’alto tasso di disoccupazione dovuta alla crisi del turismo e per l’allentamento dei controlli sulle spiagge per alzare la ‘posta’ nelle trattative con la Ue, spinte da norme sempre più repressive e dalle limitazioni della libertà messe in atto nell’ultimo anno da Saied, tra cui i divieti di effettuare viaggi all’estero.

Nei ritmi lenti della politica estera europea emerge che nella vicina Tunisia ci si presta a porre fine a undici anni di giovane democrazia e a cancellare, definitivamente, le speranze della cd “rivoluzione dei gelsomini”.

Era il 25 luglio 2021 quando il presidente Kais Saied rimosse il primo ministro e bloccò i lavori del parlamento, assumendosi gli incarichi di governo e cominciando di fatto a governare da solo, per decreto. Lunedì scorso, esattamente un anno dopo, in Tunisia si è votato un referendum per approvare una nuova Costituzione, proposta proprio da Saied: il testo dà enormi poteri alla carica del presidente e limita molto quelli di governo, parlamento e magistratura. I partiti che si oppongono a Saied hanno boicottato invano il voto, sostenendo che la nuova Costituzione accentri troppi poteri attorno alla figura del presidente, in quanto il voto referendario non prevedeva un quorum per la sua validazione, definendo la situazione nel Paese come un “colpo di stato”.

Nonostante un astensionismo record, avendo votato solo un tunisino su 4, i dati che stanno emergendo dalla complessa macchina elettorale è che la Tunisia sta virando verso un’autocrazia.  Con l’approvazione della riforma, il rischio è che la Tunisia si trasformi sempre di più in un paese autoritario, cancellando i progressi democratici cominciati con le cosiddette “Primavere arabe”, le grandi proteste popolari che nel 2011 portarono alla destituzione dell’allora presidente Zine El Abidine Ben Ali, che governava in maniera autoritaria da oltre vent’anni.

Il referendum, che si è tenuto un anno dopo che Saied ha licenziato il governo e congelato il parlamento in quello che i rivali hanno definito un colpo di stato, vede secondo i primi dati parziali la maggioranza dei votanti avallare i pieni poteri al presidente e prolungando senza limiti né controlli lo stato di emergenza nel Paese.

L’attuale Costituzione della Tunisia fu scritta in seguito alla primavera araba del 2011, che portò alla destituzione dell’allora presidente Ben Ali, al potere dal 1987; entrò in vigore nel 2014 e fu pensata in modo da accrescere i poteri del parlamento e della magistratura e di limitare invece quelli del presidente. La Costituzione per cui si è votato nel referendum ripropone un equilibrio dei poteri simile a quello che c’era in Tunisia con Ben Ali. L'Algeria, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono emersi – pur con interessi diversi – come sostenitori di Saied, che ora sembra avere un percorso chiaro per trasformare la governance del Paese da un sistema parlamentare ibrido a un modello presidenziale.

Mentre le proteste di piazza negli altri paesi del Medio Oriente sono state ribaltate dal colpo di stato militare in Egitto, dall'intervento saudita in Bahrain e, alla fine, dal sostegno del Golfo al governo siriano, la Tunisia è stata vista come l'ultima speranza per attuare un nuovo modo laico e democratico tra cittadino e stato in Medio Oriente.

Enrico Vendrame

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