La felicità è una cosa seria
L'esperienza di Massimo Santorio in Guatemala.
«Ho terminato gli studi a dicembre e ho deciso di prendermi un po’ di tempo per me», ci racconta Massimo Santorio, neo laureato nutrizionista, animatore di lungo corso, vittoriese di Santi Pietro e Paolo, fratello di don Andrea. Ma la sua idea di “per me” è controcorrente. Il “tempo” cui fa riferimento l’ha trascorso in Guatemala, volontario con l’associazione “Nutrizionisti senza frontiere” di Jesi.
«Noi volontari operavamo anzitutto nel centro di recupero nutrizionale per bambini denutriti all’interno della missione “La ciudad de la felicidad” a pochi chilometri da Esquipulas, nell’est del Guatemala, vicino al confine con l’Honduras. Inoltre fornivamo consulenze nutrizionali alla popolazione. Poi partecipavamo alle uscite dello staff medico, che ogni giorno si reca nelle aldee (i villaggi) a valutare stato nutrizionale e di salute dei bambini, fornendo cure e vaccinazioni. È qui, nei villaggi, che scopri il vero volto del Guatemala. Le famiglie sono povere e numerose, vivono in case di fango con tetti di lamiera spesso senza energia elettrica. All’interno c’è sempre un focolare acceso dove le donne cucinano le tortillas di mais. Gli uomini lavorano dalla mattina alla sera nelle piantagioni di caffè, banane, mais e canna da zucchero con molta manodopera minorile ».
Come si svolgevano le sue giornate? Che cosa insegnava?
«Mi sono trovato a insegnare norme igieniche di base – dal lavarsi le mani prima di toccare il cibo, alla pulizia di stoviglie e utensili da cucina – fino a ricette e metodi di cottura dei cibi e ovviamente consigli alimentari ad hoc per chi ne aveva bisogno. Non di minore importanza è stato aiutare con i compiti i bambini e fare l’insegnante di italiano e inglese ai più grandi... adulti e suore compresi!».
E, invece, cosa ha imparato?
«Ho imparato a fare la tortillas, a parlare spagnolo, e a dire “Que te vaya bien”, che ti vada bene. Questa frase è la sintesi dello spirito guatemalteco: un augurio fatto in ogni occasione, ad ogni adios (arrivederci): fa sentire l’altro vicino e partecipe al proseguimento del proprio cammino».
C’è un volto, una storia che le sono rimasti nel cuore?
«Marilù è una bambina che abbiamo trovato nel villaggio di San Isidro: pesava 3,4 kg e aveva appena 5 mesi. Ci è voluto tutto il pomeriggio per convincere i genitori che la bimba era in pericolo di vita e necessitava di cure. Così l’abbiamo portata, insieme alla mamma, al Centro di recupero nutrizionale. È stata con noi tre giorni, poi abbiamo scoperto dalle analisi del sangue che aveva i linfociti altissimi. È stata portata d’urgenza all’ospedale. Finita la terapia antibiotica sarebbe dovuta tornare al Centro di recupero, ma non c’è stato verso di convincere la madre che ha preferito tornare a casa nell’aldea di provenienza. Di Marilù e sua mamma non ho più saputo niente. Di storie così ce ne sono tante, dovute soprattutto all’ignoranza, che nelle aree rurali la fa da padrona».
“La felicità è una cosa seria” è l’hashtag che ha usato per alcune foto dal Guatemala. Cosa intende dire?
«La felicità è una cosa seria, perché troppe volte viene data per scontata. Sei felice quando stai bene: per un bambino star bene significa essere in salute, aver da mangiare, poter giocare e andare a scuola. In Guatemala e nei paesi in via di sviluppo queste quattro condizioni non sono facili da ottenere contemporaneamente. Per questo si diventa volontari: per mettere a disposizione se stessi a chi la felicità non l’ha ancora trovata».
Tommaso Bisagno
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