Le chiavi del sapere alla portata di tutti
"La Chiave di Sophia", rivista di filosofia curata da giovani studiosi
“Il paradosso della felicità”: è questo l’intrigante titolo della monografia, in distribuzione dalla fine di giugno, del quadrimestrale “La Chiave di Sophia”. Attorno a questo progetto editoriale, sono fiorite numerose iniziative di carattere culturale, in collaborazione con i comuni, con dei gruppi societari importanti, con la diocesi di Vittorio Veneto: le ultime due edizioni del Festival Biblico hanno visto la partecipazione attiva e propositiva de La Chiave di Sophia. Per capire meglio di cosa si tratta, ne abbiamo parlato con Elena Casagrande, giovane laureata in filosofia, originaria di Santa Lucia di Piave, tra le fondatrici di questa originalissima esperienza, già al suo quinto anno (al centro, nella foto).
Che cosa è “La Chiave di Sophia”? «Difficile dirlo, perché è tante cose insieme: è nata come un blog di carattere filosofico e poi, pian piano, si è evoluta in una testata giornalistica settimanale online, quindi in una rivista quadrimestrale cartacea e infine in un’associazione, di cui sono presidente. Mi piace pensare alla Chiave di Sophia come un organismo culturale, dove la filosofia è l’elemento vitale da cui ogni attività ha la sua origine. Come associazione culturale, organizziamo eventi, conferenze, laboratori, workshop... Non ci poniamo nessun limite nelle forme e nelle modalità con cui far arrivare la filosofia al grande pubblico: è il nostro obiettivo principale».
Come mai questo nome? «Il nome “La Chiave di Sophia”, cioè la chiave della conoscenza o del sapere, ha un duplice significato: sia la chiave di lettura per comprendere il tempo di oggi, sia la chiave di lettura per comprendere questo tipo di sapere. Da un lato, la filosofia può diventare la chiave di lettura del tempo presente, dall’altro anche la filosofia deve rendersi comprensibile a tutti e aprirsi a un pubblico che in questi ultimi anni è stato sacrificato».
Come avete fatto ad inserirvi nel complesso mercato editoriale italiano? «Ho portato, come tesi di laurea, la Chiave di Sophia: è stata la mia ricerca sperimentale magistrale e ho voluto indagare lo stato del mercato editoriale italiano in materia di periodici di filosofia. La cosa più interessante emersa è che in Italia esistono centinaia di riviste di filosofia. Si tratta di riviste scientifiche, prodotte dall’università, che hanno le fattezze di un libro: sono in bianco e nero, hanno il costo di un libro (circa 25 euro), sono adatte ad un pubblico scientifico che lavora già con la filosofia… Mancava però una rivista di filosofia come la nostra, che fosse divulgativa e pratica e raggiungesse un pubblico ampio ed eterogeneo. Per noi è stato subito chiaro che nella nostra rivista dovevano esserci delle caratteristiche ben precise: l’uso delle immagini, il colore, una leggibilità tale per cui il lettore non si senta affaticato, la percezione che l’argomento è leggero e fruibile, copertine illustrate, un costo accessibile…».
Come è nata La Chiave di Sophia? «Nasce nel 2014, dall’iniziativa di quattro giovani, due laureati e due studenti di filosofia alla Ca’ Foscari di Venezia. Insieme abbiamo sentito l’esigenza di creare qualcosa per la filosofia, per riportarla alle domande cui deve la sua origine e che spesso l’Università dimentica. La filosofia è nata in Grecia, all’interno della polis, la città greca. Nasce come pensiero a servizio della comunità e dalla comunità si alimenta. Il filosofo aiuta a condurre la riflessione secondo un metodo ben preciso e porta l’uomo a trovare le risposte più coerenti nei confronti della vita. Ogni uomo è naturalmente filosofo, come diceva lo stesso Aristotele, perché la filosofia nasce dallo stupore e dalla meraviglia delle domande della vita. La filosofia è una capacità e un’attitudine che l’uomo ha dentro di sé: si tratta solo di riscoprirla. Ed è proprio questo il nostro obiettivo».
Quali le cause di questo “sacrificio” della filosofia? «I fattori sono tanti: la virtualità della tecnologia, la crisi economico-politica e la crisi valoriale-esistenziale in cui l’uomo in questi anni vive e sta subendo… Oggi l’uomo ha paura di porsi certe domande e di prendere posizione di fronte alle questioni che gli sono più care. Piuttosto di esercitare il pensiero critico, tende al divertimento e alla distrazione, come diceva Pascal, che lo distaccano dalla vita e non lo fanno pensare».
Qual è la vostra proposta? «Nel nostro piccolo, cerchiamo di far sì che la filosofia possa parlare della vita quotidiana attraverso un approccio interdisciplinare. L’interdisciplinarità non è un’etichetta, ma è proprio ciò che facciamo. La nostra rivista, infatti, non è realizzata solo da filosofi ma anche da chi lavora sui temi che proponiamo: psicologi, sociologi, aziende, enti, realtà culturali… L’interdisciplinarità è per noi molto importante, perché è costitutiva del nostro gruppo: l’associazione unisce circa 40 giovani studiosi da tutta Italia, tutti con formazione e background diversi (non solo filosofi, ma anche storici, letterati, artisti…). Questo ci permette di impostare i temi con uno sguardo che non è solo attento alla filosofia, ma è aperto alla contaminazione con le altre discipline che hanno qualcosa da dire sui temi che scegliamo».
Ma allora siete contro la sistematicità del sapere? «No, non siamo contro, perché la sistematicità è necessaria per la ricerca scientifica. Tuttavia, se vogliamo portare la filosofia a coloro che non hanno avuto modo di conoscerla nella sua essenza più pura, dobbiamo fare un procedimento diverso rispetto a quanto fa la ricerca universitaria. Bisogna partire dalle domande che le persone si pongono e dare loro lo strumento attraverso il quale darsi da sé le risposte. Ogni numero della rivista non vuole tanto suggerire delle risposte ma piuttosto porre le giuste domande. In questo siamo molto “socratici”: amiamo la filosofia antica, che sprona a trovare da sé la risposta, attraverso il metodo “maieutico”. La risposta è in noi e si tratta di dotarsi di quegli strumenti che ci permettono di farla affiorare».
A chi vi rivolgete? «Il nostro target è la persona che, pur non avendo studiato filosofia, ha una mentalità critica e, di fronte alla complessità della vita, ha la curiosità di chiedersi come poter prendere in mano la propria vita ed essere uomo capace (“homo faber”) di decretare la propria esistenza. Guardando a come sta andando la rivista e alle varie altre attività che proponiamo a partire dalla rivista, posso dire che non si tratta di un pubblico di nicchia: forse per il tempo storico che stiamo attraversando o perché le persone si sono accorte che c’è bisogno di pensare e pensare criticamente».
Secondo voi, oggi c’è bisogno di filosofia? «Sì, abbiamo visto che c’è tanto bisogno di filosofia, c’è sete di ricerca di senso e di significato a livello lavorativo o familiare o interpersonale o politico-economico o ambientale… C’è bisogno di trovare un senso, un significato che ti faccia sentire un uomo pieno, capace di conoscere te stesso e la realtà che ti circonda. L’oracolo di Delfi (“Conosci te stesso”) è attualissimo. Perciò noi della Chiave di Sophia siamo molto “antichi” – e in questo molto attuali – nel nostro approccio alla filosofia, che nasce originariamente dalle domande sulla realtà tangibile: i primi filosofi (Anassimene e Anassimandro, ad esempio) si domandavano che cosa fosse l’aria o il fuoco, per poi arrivare alle domande sull’essere e sul senso della vita».
C’è un gran dibattito su web e carta stampata. Molti considerano il digitale come il futuro dell’editoria. Voi come la pensate? «La Chiave di Sophia nasce come blog. Da subito abbiamo visto che c’era un interesse sul nostro argomento e abbiamo voluto ben presto creare delle occasioni di confronto, cioè degli eventi, in cui il dialogo che avevamo avviato sul blog avesse delle occasioni reali di incontro: eventi caratterizzati da uno spirito dinamico, fresco, energico, giovane, frizzante, che avessero dei temi e un modo di comunicare accessibile al pubblico. Abbiamo ricevuto via via consensi: nel 2017 abbiamo dato vita all’associazione culturale grazie alla quale studenti e laureati sono entrati nel progetto… Sempre nel 2017 è nata anche la rivista cartacea, che ci ha fatto capire che potevamo generare qualcosa anche a livello lavorativo. Abbiamo fondato anche la nostra casa editrice, “Nodo edizioni”, che si occupa – tra le altre cose – di portare la nostra rivista in giro per l’Italia e di distribuirla nelle librerie indipendenti. Tutto questo è certamente costoso, ma la rivista cartacea ha delle caratteristiche che il web non ha e non avrà mai. Per noi è chiaro che il digitale non andrà mai a sostituire il cartaceo: l’ergonomia del prodotto, la leggibilità, la sensazione che si ha nello sfogliare le pagine, il profumo della carta, il fatto di avere una rivista da mettere in libreria e poterla rileggere… rendono il cartaceo vincente».
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