Luci e ombre delle Primavere arabe
Quali effetti, a dieci anni di distanza, dei moti di protesta del 2011 in vari Paesi del nord Africa?
In questo mese di gennaio cade il decimo anniversario dell’inizio delle primavere arabe, segnato dalla fuga di Zine el Abidine Ben Ali. L’allora presidente tunisino non osò ordinare all’esercito di aprire il fuoco sui manifestanti (perché non era sicuro che i militari avrebbero obbedito) e così decise di rifugiarsi in Arabia Saudita.
Dato che la tivù satellitare e i social network avevano reso vana la censura, il resto del mondo arabo seguì attentamente le quattro settimane di proteste in Tunisia. Subito dopo la fuga di Ben Ali, in diversi paesi si scatenarono immediatamente manifestazioni nonviolente in favore della democrazia.
Sembrava che stesse per arrivare un enorme cambiamento, perché il mondo si era abituato all’idea che le rivoluzioni nonviolente si diffondono in modo incontrollabile e alla fine vincono. Ma non è stato così. Le proteste si sono diffuse con la stessa velocità, ma il loro unico successo parziale duraturo è stato in Tunisia dove tra gli alti e bassi della politica e tra crisi economica i malumori non sono mai sopiti. Infatti da una settimana sono riprese a Tunisi le proteste sull’onda della crisi economica già latente ma poi peggiorata dalla pandemia. Per il resto il bilancio per ora non ha portato ai frutti sperati e le condizioni in alcuni paesi sono anche peggiorate.
La Siria è piombata nella peggior guerra civile d’inizio millennio, l’Egitto è passato dalla trentennale dittatura di Hosni Mubarak a quella di Abdel Fattah al Sisi, la Libia dalla caduta di Muhammar Gheddafi alla guerra civile così come nello Yemen dalla caduta di Abd Rabbih Mansur Hadi prima – e Khalid Babah poi – e l’innesco della guerra civile in Siria ancora in corso. Ma le vite e i percorsi di alcuni suoi protagonisti raccontano un processo di cambiamento molto più profondo. Un processo lungo e ormai avviato, per cui nulla potrà più essere come prima, anche se manca una struttura partitica solida. Forse ci troviamo oggi nel pieno di quella che è stata definita la “seconda ondata” delle primavere arabe che ha coinvolto dalla fine del 2018 l’Algeria, il Sudan, il Libano e l’Iraq.
Al di là delle pur notevoli differenze nazionali, le proteste arabe degli ultimi due decenni hanno molti tratti in comune l’attivismo giovanile e la maturazione dei movimenti di protesta.
Enrico Vendrame
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