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Lutto da coronavirus

"Abbiamo ancora un’arma che un potentissimo virus non è riuscito a espropriarci: la relazione"

Lutto da coronavirus

Le condizioni fisiche di Mario sono precipitate. La moglie Carolina ha chiamato il figlio; è arrivata l’ambulanza a sirene spiegate. Hanno detto a Carolina di preparare una borsa con l’indispensabile per il ricovero; hanno caricato Mario e sono ripartiti, nuovamente a sirene spiegate. Carolina non  l’ha più rivisto: Mario è morto, cinque giorni dopo. È stato impossibile fargli visita, la “semplice” presenza accanto a lui negata. Hanno passato decine d’anni insieme. E non sono nemmeno riusciti ad accomiatarsi. Quell’ultimo  prendersi cura non è stato dato a Carolina. Quel prendersi cura che lenisce un po’ i sensi di colpa, immancabili, ma resi più atroci dalle attuali circostanze. “Perché gli ho dato retta quando non voleva andare in ospedale?!”. Mario aveva paura di andare in ospedale, una paura insolita prima di adesso: paura di morire da solo. Ed è morto da solo. La figlia, confinata in un’altra città, non ha potuto scegliere con la madre gli abiti per il padre da indossare nella bara. Ma chissà se c’è stato bisogno di abiti. Nessun parente o conoscente con cui condividere il dolore davanti alla bara. Tutto questo è disumano, non aiuta, cioè, un essere umano ad affrontare e superare un lutto. La perdita improvvisa della persona cara, il non potersi accomiatare, il non poter essere presente alla sua agonia, la mancanza della veglia di tre giorni davanti alla bara, l’assenza delle visite di parenti e conoscenti (se non dei propri figli) perché reclusi forzatamente nelle proprie case, l’assenza di un funerale, l’assenza di abbracci, l’assenza di strette di mano, l’assenza di riti, di qualsiasi tipo. Tutto questo rende molto più difficile ciò che da sempre è stato uno degli eventi della vita più tragici da affrontare e superare: un lutto. In questo momento storico tutto ciò che l’uomo ha da sempre messo in atto, a livello individuale e collettivo, per affrontare e superare un lutto, è venuto a mancare pressoché totalmente. Ma abbiamo ancora un’arma che un potentissimo virus non è riuscito a espropriarci: la relazione; ci ha costretto a modificare e adattare le modalità della relazione, ma non può togliercela. Ed allora possiamo usarla per accostarci, come possiamo, alle persone in lutto. Mettiamoci in un atteggiamento di ascolto, virtualmente di fianco a loro, come chi accompagna. Non pensiamo a consolarle: è impossibile. Ascoltiamole: lasciamo che narrino, nei dettagli, ciò che è successo, ciò che hanno vissuto. Entriamo con loro nell’incubo che hanno vissuto: farà loro bene.

Rossella De Peri (La Voce del Popolo di Brescia)

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