VENETO: la Cgil contraria alle "classi di transizione"
Alimenterebbero una "cultura della separatezza"
La Cgil Veneto dissente sonoramente dall'idea del ministro della Pubblica Istruzione Validitara di creare "classi di transizione".
“La creazione di classi di “transizione” come le ha chiamate Valditara edulcorandone il concetto, rappresenterebbe un’ulteriore regressione per la scuola italiana e per tutta la società, soprattutto in Veneto, terza regione d’Italia per presenza di studenti con cittadinanza non italiana, 96.105, di cui ben il 72,9% nati in Italia (dati relativi all’anno scolastico 2021/22) e che solo da un punto di vista giuridico vengono considerati “non italiani” - sostiene Silvana Fanelli, segreteria regionale Cgil Veneto". Prosegue Fanelli: "Relegarli in “classi dedicate” rappresenterebbe un’ulteriore stigmatizzazione per questi alunni che verrebbero automaticamente considerati di serie B. Discriminazione quindi anche in un luogo che dovrebbe includere e proteggere, che dovrebbe valorizzare le differenze personalizzando gli interventi didattici e non dovrebbe ghettizzare. Separare gli alunni di origine straniera dagli italiani significa privare i primi della possibilità di apprendere la lingua più velocemente e con maggiore motivazione grazie alla relazione con i propri compagni e privare anche gli altri dell’incontro e dello scambio con chi proviene da altri luoghi e da altre culture. Significa anche perpetrare una “cultura della separatezza” fin dall’infanzia: condizione che alimenta l’insuccesso e quindi l’abbandono scolastico, fenomeno particolarmente accentuato nella scuola secondaria di secondo grado tra gli studenti di origine straniera”.
“Con le nuove iscrizioni per l’anno scolastico 2024/25 in Veneto abbiamo perso ben 11.562 alunni - aggiunge Marta Viotto, segretaria generale Flc Cgil Veneto -. A fronte di un calo demografico preoccupante, dettato anche dalla mancanza di prospettive e dalla precarietà, la nostra regione rimane tra le prime per presenza di alunni di origine straniera. Assurdo pensare di relegare tutti questi studenti in classi ghetto. Piuttosto si incrementino gli investimenti nella scuola pubblica per aumentare gli organici e per la formazione dei docenti, anche per quanto riguarda l’insegnamento della lingua italiana come lingua seconda, e si riprenda in mano, almeno, la questione dello ius scholae. Una norma che, pur avendo molti limiti, rappresenterebbe un primo passo verso il riconoscimento di un diritto fondamentale, ossia quello della cittadinanza per chi anche se non nato in Italia studia e frequenta la scuola”.
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