PAPA LUCIANI: nell'anniversario dell'elezione pontificia, l'omelia del card. Stella
Oggi, a 43 anni da quell'evento, la messa solenne a Canale d'Agordo
Pubblichiamo di seguito, in forma integrale, l’omelia del card. Beniamino Stella che oggi, 26 agosto, ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica nella chiesa arcipretale di San Giovanni Battista di Canale d’Agordo, nel giorno del 43° anniversario dell’elezione alla Cattedra di Pietro di Albino Luciani. Al termine della messa è stata avanzata la proposta di concedere al card. Stella la cittadinanza onoraria di Canale d'Agordo: se n'è fatto interprete Loris Serafini, direttore del Musal (Museo Albino Luciani), rivolgendosi al primo cittadino di Canale, Flavio Colcergnan.
Il 26 Agosto 1978 il Cardinale Felici annunciò l’elezione a Sommo Pontefice del vostro amato concittadino, l’allora Patriarca di Venezia Albino Luciani. Oggi, a 43 anni di distanza dalle emozioni di quella storica giornata, siamo riuniti intorno all’Altare del Signore per ringraziarLo del dono che Papa Luciani, pur nella brevità del suo Pontificato, è stato per la Chiesa, e per il segno che ha lasciato nella memoria di chi lo ha conosciuto e di chi oggi sente parlare di lui. In tal senso, anticipando quel che sarebbe accaduto nei decenni a venire, nell’Omelia tenuta durante i funerali di Giovanni Paolo I (4 Ottobre 1978) il Cardinale Confalonieri disse: «Abbiamo avuto a malapena il tempo di vedere il nuovo Papa. Eppure, un mese gli fu sufficiente per conquistare i cuori, e per noi, fu un mese in cui l’abbiamo amato intensamente», concludendo che: «Il pontificato di Giovanni Paolo fu un dialogo d’amore tra padre e figli».
Per questa gioiosa e amorevole paternità nello Spirito di Papa Luciani, oggi possiamo ricordarlo non solo come un grande Vescovo del passato, ma piuttosto come un riferimento spirituale per il presente, per il nostro tempo segnato dalla tragedia della pandemia e dal conseguente crollo di tante certezze, piccole e grandi, anche per noi cristiani. L’ultimo anno e mezzo è stato infatti per tutti una prova severa. Progetti, ambizioni, realtà consolidate sono andati spesso in frantumi, come ha ricordato lo scorso anno Papa Francesco sul sagrato di Piazza San Pietro: «La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità… Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine» (27 Marzo 2020). La pandemia quindi ha svelato la fragilità delle realizzazioni umane, dando un significato quanto mai attuale alle parole del Profeta Geremia: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e dal Signore si allontana il suo cuore» (17, 5). Di fronte a tale “tempesta” esistenziale, ma per molti anche materiale, facile è la tentazione dell’abbattimento e della tristezza, stati d’animo per i quali le umane consolazioni non valgono più, ma occorre fondarsi sull’unica roccia veramente solida, cioè Cristo stesso, il solo che ha Parole di vita eterna.
Così, vorrei proporvi di seguire brevemente lo stesso itinerario a Cristo attraverso le tre virtù teologali, fede speranza e carità, proposto nelle tre catechesi del mercoledì da Giovanni Paolo I. Sono tali virtù, infatti, che, mentre non tolgono magicamente paure e sofferenze, ci uniscono profondamente a Cristo e ci rendono più forti nel sopportare le avversità, senza farci travolgere.
Nella visione di Papa Luciani, avere fede è un abbandonarsi fiduciosamente in Dio: «Ecco che cosa è la fede», disse il 13 Settembre 1978, «arrendersi a Dio, ma trasformando la propria vita». Così, la fede è presentata come accoglienza della proposta di Vita che Dio fa a ognuno di noi sin dal giorno della nascita, e che Egli continua a riproporre – con discreta insistenza – nonostante indifferenza, paure, rifiuti e tradimenti da parte nostra. “Arrendersi a Dio” significa che non sempre Egli ci viene incontro nei tempi e nei modi che desideriamo, e sta a noi non lasciarci condizionare e limitare dalle nostre personali aspettative. Non conta tanto in che modo e in che contesto Dio si presenta, ma in special modo il fatto stesso che si faccia trovare, per entrare in relazione con noi e suscitare una risposta di fede: «Non si tratta solo di credere alle cose che Dio ha rivelato ma a Lui, che merita la nostra fede, che ci ha tanto amato e tanto fatto per amore nostro», ha detto nella medesima Udienza Generale Papa Luciani.
«Come sbagliano quelli che non sperano!», scrisse l’allora Patriarca di Venezia nel dialogo con il poeta Charles Péguy, nel libro Illustrissimi (1976). Non si trattava certo di un ingenuo ottimismo, noncurante e inconsapevole delle difficoltà e delle sofferenze del mondo, di allora e di oggi, bensì della virtù cristiana della speranza, definita da Papa Luciani «obbligatoria», così che «chi la vive viaggia in un clima di fiducia e di abbandono» (Udienza generale, 20 Settembre 1978). Certo, tale speranza non può dipendere dal fatto che tutto va bene, secondo i nostri piani e desideri, altrimenti oggi sarebbe davvero difficile sperare o, peggio, “speranza” sarebbe sinonimo di “illusione” di fronte alle calamità naturali e quelle causate dall’uomo che affliggono il nostro mondo.
Riprendendo invece le parole di quel grande catecheta che fu Papa Luciani, ci sentiamo ricordare che, per la virtù della speranza, «ci si attacca a tre verità: Dio è onnipotente, Dio mi ama immensamente, Dio è fedele alle promesse. Ed è Lui, il Dio della misericordia, che accende in me la fiducia; per cui io non mi sento né solo, né inutile, né abbandonato, ma coinvolto in un destino di salvezza, che sboccherà un giorno nel Paradiso» (Udienza generale, 20 Settembre 1978). Per sperare nel senso cristiano del termine, quindi, occorre un pizzico di fede e – vorrei dire – una buona memoria. Quando ricordiamo Chi è Dio, il creatore onnipotente – la natura e le nostre montagne ci parlano di Lui in ogni angolo!; quando ripensiamo a quante volte Egli ha attraversato la nostra vita, atteso o inatteso, e ci ha fatto avvertire la Sua rassicurante presenza, tramite una persona, una intuizione, una parola udita; quando riguardiamo alla nostra vita e contempliamo le occasioni di gioia che ci sono state date e le prove della fedeltà di Dio; allora possiamo davvero sperare, non ingenuamente, ma nella fede vissuta, e con i piedi ben piantati per terra.
Il cammino delle virtù teologali verso Dio non può che culminare nella carità, perché Dio “è” amore (1Gv 4,8) e, secondo Papa Luciani, «amare significa viaggiare, correre con il cuore verso l’oggetto amato» (Udienza generale, 27 Settembre 1978). Dio infatti ha compiuto per amore un “viaggio” impensabile verso l’uomo, incarnandosi in Gesù attraverso il “sì” di Maria. Siamo nati quindi dall’amore – di Dio, dei nostri genitori… diciamo grazie a Dio per loro quando sono vivi e ricordiamoli nella preghiera da morti! – e siamo chiamati ad amare Dio e il prossimo, perché solo l’amore è Vita, e perciò costituisce il bene più prezioso che possiamo ricevere e donare. Al riguardo, l’allora Vescovo di Vittorio Veneto scrisse: «Alla borsa dei valori (…) sembra che salgano alte, oggi, le azioni delle lauree, dei monsignorati, delle stampe pubblicate, dei muri costruiti. Bisogna, a reazione, far entrare sempre più profonda nella cerchia delle nostre convinzioni la grande convinzione di San Paolo; se ho tutti, tutto, ma mi manca la carità sono “come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna” (1Cor 13,1), sono niente. Con la carità invece ho anche le altre virtù» (Discorsi, scritti, articoli. Vittorio Veneto 1963-1966, p. 167).
Oggi più che mai occorre riscoprire la carità come modo specifico di noi cristiani per stare al mondo, per portare luce e misericordia in una realtà spesso oscura, intristita e anche spietata, che facilmente emargina e mette da parte ogni categoria di “deboli” e di “poveri”, coloro che, secondo la logica del mondo, non sono “competitivi” e non sono quindi meritevoli di attenzione. Di fronte a quella che Papa Francesco chiama “cultura dello scarto” (Udienza generale, 5 Giugno 2013), secondo le parole del Vescovo Luciani, «occorre lo spirito di carità: voler bene al prossimo, aiutare, compatire, sopportare, perdonare!» (Discorsi, scritti, articoli. Vittorio Veneto 1963-1966, p. 191). Credo che ascoltando tali verbi, ognuno di noi possa pensare a persone e situazioni concrete, che ci hanno in passato portato a gesti di bontà, o che ora attendono da noi che ci ricordiamo di loro, facendoci strumento dell’amore che Dio ha per ogni uomo.
Celebriamo allora con festosa esultanza l’anniversario dell’elezione al Soglio Pontificio di Giovanni Paolo I, ma soprattutto lasciamoci guidare dalle sue parole e dal suo esempio di Pastore e di testimone della fede, perché nelle traversie e nelle avversità di oggi possiamo sentire più chiara la chiamata che Cristo ci rivolge a seguirlo e a rivedere le priorità della nostra vita, ravvivando in noi la fede, la speranza e la carità, per divenire ognuno un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo, come strumenti docili nelle mani di Dio. Mentre chiediamo al Signore che presto il “nostro” Giovanni Paolo I possa essere elevato alla gloria degli Altari, invochiamo su di noi la misericordia e la tenerezza di Dio con la preghiera composta dallo stesso Albino Luciani: «Stammi ancor vicino, Signore. Tieni la tua mano sul mio capo, ma fa' che anch'io tenga il capo sotto la tua mano. Prendimi come sono, con i miei difetti, con i miei peccati, ma fammi diventare come tu desideri e come anch’io desidero». Amen.
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento