"A CHE GIOVANI PENSIAMO?"
L'editoriale della settimana, a cura di don Lorenzo Barbieri, responsabile diocesano della Pastorale giovanile
“Com’è la situazione, la presenza dei giovani dentro la tua parrocchia, la tua associazione, la tua realtà?”. Una semplice domanda può suscitare un insieme di considerazioni, discorsi, opinioni, idee, sentimenti. Quando si parla di giovani si corrono dei rischi: essere retorici, nel bene e nel male; idealisti o disfattisti, distanti dalla realtà.
Quando pensiamo ai “giovani” dentro le nostre comunità cristiane, sarebbe necessario chiarire alcune cose. Innanzi tutto chiarire l’età, perché ogni stagione della vita ha le sue caratteristiche che non possono essere appiattite come se fosse tutto uguale: con “giovani” rischiamo di comprendere una fascia di età troppo ampia e assai diversificata. Preadolescenti, adolescenti, giovani o giovani-adulti?
E poi, quali giovani abbiamo in testa? Quelli che vediamo sempre meno nelle nostre messe domenicali? Gli adolescenti che ci fanno da animatori ai grest o ai campiscuola, che fanno gruppo giovani, che danno una mano per la sagra, che giocano nei nostri campetti e che si comportano a volte bene e a volte... meno? I giovani che si assumono qualche responsabilità nei confronti dei più piccoli, oppure quelli che si aprono ad una realtà diocesana o associativa più ampia? Oppure quelli che non ci sono? E che attese abbiamo nei loro confronti? Che continuino a “farsi vedere” dopo la cresima? Che ci siano per dare una mano alle attività della parrocchia? Che portino avanti quello che già c’è? Che inventino qualcosa di nuovo? Che continuino a credere e a pregare personalmente? Che possano vivere da cristiani lo studio, il lavoro e l’impegno sociale? Che scoprano e vivano la propria vocazione?
Prima di dare risposte, è bene fare le riflessioni giuste e chiederci come la nostra parrocchia, associazione, realtà vuole prendersi cura del cammino di fede dei propri giovani. E non farlo solo come singoli eroi che cercano di salvare il salvabile perché ragazzi, adolescenti e giovani non scappino, ma farlo come gruppo che si attiva a nome della propria realtà. Poi, riflettere se il protagonismo che proponiamo loro riguarda il loro impegno e la loro partecipazione alla costruzione del regno nel mondo o solo l’animazione degli eventi ecclesiali, con il rischio di tenerli incollati a proposte buone nelle intenzioni, ma incapaci di farli crescere nell’impegno.
Inoltre sarebbe bene uscire dal quel binomio ottimismo-pessimismo nei confronti dei “giovani”, ma coltivare quel sano realismo carico di speranza evangelica che cerca di leggere la realtà e progetta cammini provando a capire cosa il Signore ci stia chiedendo in questi tempi e dove ci stia conducendo. Quando una comunità è attiva su queste e altre riflessioni-azioni, o chiede aiuto per poterlo fare, ha buone speranze di non “abbandonare” i propri giovani al loro destino e di mettersi al loro fianco perché siano protagonisti della propria vita e della propria fede. Su questo abbiamo una grande responsabilità.
Concludo riportando una considerazione che viene da una delle ricerche dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo di Studi Superiori di Milano: «Sembra che i giovani si allontanino dalle esperienze ecclesiali, più che per un disinteresse per la Chiesa, perché i “luoghi” ecclesiali sono rimasti fuori dalla traiettoria evolutiva del vivere giovanile, ovvero dal processo che ha trasformato il loro modo di pensare ai propri progetti, di vivere la propria socialità, di coltivare la propria dimensione spirituale».
Don Lorenzo Barbieri - Responsabile diocesano Pastorale giovanile
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