CORRIAMO (TUTTI). MA VERSO DOVE?
L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga
È stata accolta con soddisfazione la notizia di qualche giorno fa con cui si apprendeva che il Ministero della salute non autorizzava l’utilizzo del “Clorpirifos metile”: un fitofarmaco particolarmente tossico ma ritenuto efficace per combattere la “flavescenza dorata”, una malattia resistente che colpisce un certo tipo di viti alle nostre latitudini. È certamente da salutare con favore questa decisione, insieme ad altre misure messe in atto ormai da tempo nell’ambito vitivinicolo, anche grazie alle sollecitazioni che provengono dal mondo delle associazioni ambientaliste (e anche da semplici cittadini) che chiedono una viticoltura più sostenibile e più rispettosa dell’ambiente.
Tutto bene, quindi, certo. C’è un però. Almeno uno. Se è vero che da alcuni anni la coltivazione della vite, proprio nelle nostre zone, è – e dobbiamo dire “a ragione” – sotto la lente di ingrandimento, c’è da chiedersi perché con altrettanta acribia non si sondino anche altri settori produttivi. Dell’agricoltura, certo, ma anche dell’industria di qualsivoglia ambito. E, ad essere sinceri, perché non ci si interroghi in modo più radicale sul nostro modello di sviluppo: mi riferisco al modello di sviluppo di tutto l’Occidente – il modello “consumistico” per intenderci – che in realtà sta diventando o è già diventato il modello di riferimento di tutto il mondo (perché Cina e India, che insieme fanno quasi la metà della popolazione mondiale, stanno muovendosi sostanzialmente su questa stessa linea).
L’obiettivo di tutti i Paesi del mondo è, in sostanza, far crescere il Pil (il Prodotto interno lordo) e quindi far crescere i consumi e conseguentemente la ricchezza: non importa se questo significa produrre cose che non servono (e che poi vengono buttate via, senza possibilità di recupero, nel più classico stile “usa-e-getta”) e consumare inutilmente risorse ed energie non più rinnovabili. Un produrre per consumare, fine a sé stesso, che si compiace edonisticamente di sé, in una corsa senza senso che impatta gravemente sull’ambiente: ecco ciò a cui stiamo assistendo ormai da decenni.
Agli inizi degli anni ’70, Pierpaolo Pasolini stigmatizzava duramente la cultura “edonistica” del consumismo di cui vedeva i prodromi nella società italiana di allora: chissà che cosa direbbe oggi della nostra società… Pasolini contestava, da un punto di vista culturale, la “società dei consumi di massa” perché vedeva in essa una minaccia alla libertà di pensiero e il rischio di cancellazione di altre forme di cultura. Ora questo modello di società è una minaccia anche per l’ambiente, per il contesto vitale in cui esistiamo e conseguentemente per l’uomo stesso, per ciascuno di noi.
Ci lamentiamo, giustamente, dell’uso di questo o di quell’altro pesticida in agricoltura, ma siamo disposti a intraprendere stili di vita diversi, meno “energivori”, a cominciare dal nostro quotidiano modo di vivere? O continuiamo a correre senza una meta, a consumare senza sapere perché? Cos’altro deve accadere perché si cambi rotta e si cambi stile di vita? Eppure, le alternative ci sono…
Alessio Magoga
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