Costruire comunità, intrecciare relazioni...
L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.
Verso sera, all’orario convenuto, le persone cominciano a raccogliersi dalle case delle vie del borgo. Prima due o tre persone, poi via via altre cominciano a prendere posto. Per primi gli anziani, generalmente, ma poi anche i bambini con le loro mamme e alcuni papà. Un po’ alla volta arrivano anche dei giovani e altri adulti: magari – molto “evangelicamente” – si mettono un po’ in fondo, negli ultimi posti. E finalmente, quando scocca l’ora, con un certo numero di persone – non piccolo – si può cominciare. Inizia un semplice momento di preghiera che si conclude con la benedizione dei presenti e la consegna – molto gradita – di un piccolo segno: per lo più un’immagine con una preghiera, che ricorda il momento vissuto insieme.
Finito il rito, ecco che qualcuno allestisce dei tavoli e altri cominciano a metterci sopra dolci e panini imbottiti, bibite e qualche bottiglia di buon vino… Si chiacchiera del più e del meno, spiluccando qualcosa. E la gente resta! Ecco: la gente non va via. Non c’è il fuggi fuggi cui a volte si assiste alla fine delle nostre messe. In questo caso la gente – che si conosce piuttosto bene – resta per raccontarsi, per dirsi o semplicemente per stare con gli altri... E il gesto del mangiare e del bere – che pur esprime la festa dello stare insieme – è di contorno: non è il motivo principale di questo “sostare”, anche se lo rende ancor più familiare e caldo.
Tempo fa, colpita dall’insolita bellezza di un momento come questo vissuto nella sua borgata, una persona mi diceva: “Forse oggi abbiamo bisogno non tanto della benedizione del parroco casa per casa, come si faceva una volta, dove emergeva di più il rapporto individuale. Oggi abbiamo bisogno di momenti comunitari, nei quali ci incontriamo tra famiglie e tra vicini e abbiamo l’opportunità di rinsaldare amicizie e relazioni”. Questo pensiero mi sembra molto vicino a quanto scriveva qualche giorno fa, in un suo “tweet”, papa Francesco: “In questo tempo povero di amicizia sociale, il nostro compito è quello di costruire comunità”.
Allora tutto ciò che in qualche modo diventa opportunità di incontro e momento favorevole per intrecciare relazioni è da salutare come il benvenuto: si tratti della benedizione comunitaria delle famiglie di un borgo o di un grest parrocchiale che movimenta un intero paese o di una qualsiasi altra iniziativa – pastorale o sociale – che permette alle persone di collaborare e di fare insieme qualcosa di buono per sé e per gli altri... Tra l’altro, lo stare con gli altri fa anche bene alla salute. Lo ribadisce una recente ricerca dell’Università di York, in Gran Bretagna, in base alla quale la percentuale di rischio di ictus e di malattie cardiache si abbassa in quanti hanno una vita relazionale soddisfacente. Insomma, non siamo fatti per stare da soli e lo stare con gli altri fa bene. Dall’altro lato, bisogna riconoscere che la solitudine si presenta come uno dei mali caratteristici del nostro tempo e porta con sé – quando è persistente e subita – gravi conseguenze.
La temiamo e ne abbiamo paura, ma al tempo stesso ci attanaglia e ci rende dei tristi individualisti. Preoccupa il dato statistico, rivelato a maggio dalla “Relazione europea sulla droga 2016”, secondo cui l’uso di sostanze stupefacenti di ultima generazione continua a diffondersi tra i giovani con un ritmo incalzante: certamente, una modalità sbagliata di “uscita” dalla solitudine. Un discorso analogo riguarda l’uso del cellulare e di internet: l’utilizzo compulsivo dello smartphone e la paura di restare disconnessi dalla rete rivelano il desiderio, sì, di uscire dalla solitudine ma, ancora una volta, attraverso un modo inadeguato, che lascia insoddisfatti e apre la porta a nuove forme di dipendenza. Forse dovremmo distogliere più spesso gli occhi dal telefonino e alzare lo sguardo sui volti delle persone che ci stanno accanto, per guardare negli occhi chi amiamo, per salutare il nostro vicino, per prestare attenzione a chi ci capita di incontrare nelle mansioni quotidiane.
Allora ci renderemmo conto che il “messaggio” più bello è arrivato e che non siamo più soli. (Tra parentesi: quasi nessuno armeggiava col cellulare durante la benedizione del borgo, tranne uno che faceva qualche foto!).
Alessio Magoga
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