Editoriale
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I FATTI DI VIDOR

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

Parole chiave: Vidor (1), tragedia (1), morte (20), Piave (4), religione (5), spiritualità (2), giovani (33)
I FATTI DI VIDOR

La tragica morte di Alex, il ventiseienne originario di Marcon il cui funerale si celebra sabato, ha provocato un profondo dolore in molti: questo dolore – a partire da quello dei familiari ed amici – va accolto e rispettato nel modo più assoluto. Il fatto ha suscitato anche un certo disorientamento, a motivo del luogo in cui la vicenda è avvenuta. Ed è proprio su questo aspetto che intendiamo soffermarci, non sulla ricostruzione delle circostanze del drammatico evento che sono al vaglio degli inquirenti.

Come è noto, i fatti sono accaduti presso l’ex-abbazia benedettina di Vidor. Vale la pena ricordare che la struttura, attualmente di proprietà di privati, non ha nulla a che fare con la vita religiosa, dal momento che da secoli non vi è più ospitata alcuna comunità monastica. Distrutta durante la Prima guerra mondiale e successivamente ricostruita dalla famiglia che l’ha acquistata, l’abbazia è attualmente un luogo suggestivo, immerso nel verde, costeggiato dal Piave: spesso viene utilizzata per eventi di carattere culturale, come concerti, conferenze, tavole rotonde… All’interno, vi è anche una chiesa che non è “sconsacrata” – come erroneamente è stato detto da alcuni mezzi di comunicazione – e che, talvolta, viene utilizzata per la celebrazione della messa da parte di qualche gruppo parrocchiale.

Va ribadito che non è questo il caso dei riti “sciamanici” cui Alex stava partecipando prima del tragico fatto occorso. Questi riti non hanno nulla a che fare con la fede cristiana e – come giustamente qualcuno ha rilevato – c’è da chiedersi se sia opportuno che vengano eseguiti in una chiesa (o comunque negli spazi di una ex-abbazia) che, per quanto proprietà privata, rinvia esplicitamente a chiari significati cristiani. È evidente il rischio di generare confusione. Si potrebbe essere indotti a pensare che non ci siano differenze tra fede cristiana e altre forme di spiritualità: come se ogni ricerca spirituale avesse lo stesso valore e lo stesso significato, in una sorta di sincretismo in cui ogni distinzione si confonde e si annulla. Sebbene si possano ravvisare alcuni punti in comune, come ad esempio il desiderio di spiritualità e la ricerca di una qualche forma “salvezza” (che può anche essere indicata con altri termini, quali felicità, pienezza della vita, illuminazione…), esistono delle profonde differenze. Il cristiano, infatti, sa che la salvezza passa attraverso la fede in Cristo e che la felicità trova la sua pienezza nell’incontro personale con Dio, la cui identità ha dei contorni precisi: è il Padre misericordioso, rivelato da Gesù nei Vangeli, che dona lo Spirito. Questi tratti non si riscontrano nei riti sciamanici, che si ispirano – almeno nel caso di Vidor – ad alcune antiche tradizioni del Sudamerica e presentano la “salvezza” come frutto di un percorso di illuminazione compiuto dalla singola persona. In tal caso, è l’individuo che “si salva” con le sue forze, con l’aiuto di un “curandero” (lo sciamano), ricorrendo anche ad alcune sostanze che – secondo i cultori di questi riti – favoriscono la purificazione interiore e facilitano il cammino verso la luce. In tutto questo, però, si perde la centralità di Cristo e della sua grazia, e si smarrisce il volto del Dio cristiano che è innanzi tutto relazione.

Il fatto che non poche persone oggi cerchino la salvezza (o la felicità o più semplicemente il benessere) attraverso queste forme di spiritualità “alternative”, e non più dentro ai cammini delle grandi tradizioni cristiane, pone alla Chiesa dei seri interrogativi. Ad esempio: in quale modo, oggi, come cristiani possiamo intercettare nuovamente il desiderio di spiritualità e di felicità che abita tanti uomini e donne (e tanti giovani) del nostro tempo?

Alessio Magoga

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