IL MIRACOLO DI MATTARELLA
L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga
Almeno per una volta tutte le forze politiche – dalla maggioranza alla minoranza – si sono trovate d’accordo nell’applaudire il tradizionale discorso di fine d’anno del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Già solo questo fatto è un “miracolo” nel panorama politico italiano. Certo, ognuno ha colto quel passaggio o anche quella sola parola che in qualche modo richiama o ribadisce la propria linea politica. Non è un fatto nuovo né così straordinario che i politici “pieghino” a proprio vantaggio gli interventi di chicchessia. In questo caso, le parole di Mattarella, la cui autorevolezza con il tempo (e con il suo secondo settennato) non solo non accenna a diminuire, ma è ulteriormente cresciuta.
A ben guardare, il discorso del Presidente forse non è stato uno di quelli meglio riusciti: piuttosto breve (poco più di un quarto d’ora), si segnala per il suo equilibrio e per la sua misura. Non buca lo schermo e non “spacca”, come direbbero i giovani. Mattarella ha ribadito diversi contenuti con i quali è difficile non essere d’accordo e, appunto, tutti hanno trovato qualcosa su cui concordare: l’urgenza della pace, l’attenzione del tutto speciale rivolta ai giovani, il senso dell’amore e il rispetto della donna, il tema del lavoro, la cura verso il mondo della disabilità (efficace il riferimento a Pizza Aut), il plauso nei confronti di Papa Francesco, la delicata questione della tecnologia e dell’intelligenza artificiale...
Tuttavia, le parole di Mattarella hanno voluto far passare un “meta-messaggio”, che si potrebbe sintetizzare così: un appello all’unità ed a superare ogni forma di divisione, perché – come afferma in chiusura – “uniti siamo forti”. Il Presidente ha cercato in ogni modo di evitare il minimo pretesto per far salire la tensione o per favorire qualche spaccatura. Lo ha detto poi, esplicitamente, in un passaggio che a nostro avviso è il cuore del suo intervento: «Perché la forza della Repubblica è la sua unità. Unità non come risultato di un potere che si impone. L’unità della Repubblica è un modo di essere. Di intendere la comunità nazionale. Uno stato d’animo; un atteggiamento che accomuna; perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace». Per una società, come quella italiana, abitata da spinte centrifughe che inibiscono la sua capacità di “muoversi insieme” come uno “sciame”, per dirla con la recente indagine del Censis, l’invito del Presidente della Repubblica suona come quanto mai attuale ed urgente. Tuttavia, perché non resti solo un ricorso di belle ma inefficaci parole, spetta agli italiani – cioè, a tutti noi e al nostro “animo” – recepirlo.
E qui c’è un almeno un secondo aspetto rilevante del discorso del Presidente. Nelle prime battute, lì dove ribadisce l’importanza della pace, Mattarella accenna alle cause macroeconomiche o geopolitiche della guerra, ma porta ben presto lo sguardo verso “l’animo degli uomini”, la mentalità che si coltiva... Come a dire che per avere la pace bisogna costruirla con l’educazione, coltivarla interiormente, “nel sentimento delle nuove generazioni”, «nei gesti della vita di ogni giorno, nel linguaggio che si adopera». È molto bello questo appello all’interiorità dell’uomo, al valore della cultura e dell’educazione, alla libertà di ciascuno di noi: la buona riuscita di questo nuovo anno (come anche il raggiungimento della pace e dell’unità) «dipende, anche, da ciascuno di noi». Pertanto, anche grazie alle nostre libere scelte, al nostro senso di umanità, al nostro atteggiamento interiore il 2024 potrà essere un buon anno. Ed è proprio questo l’augurio che rivolgo a tutti i lettori e lettrici de L’Azione!
Alessio Magoga
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