L'EUROPA E L'ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI
L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga
«La storia in questi ultimi decenni ha dato segni di un ritorno al passato: i conflitti si riaccendono in diverse parti del mondo, nazionalismi e populismi si riaffacciano a diverse latitudini, la costruzione di muri e il ritorno dei migranti in luoghi non sicuri appaiono come l’unica soluzione di cui i governi siano capaci per gestire la mobilità umana». Così Papa Francesco nel suo messaggio inviato per i 40 anni del “Centro Astalli” di Roma per il servizio ai rifugiati, che si sono celebrati lo scorso 14 novembre. Le sue parole suonano come una critica a quelle politiche – anche dei Paesi europei – che intendono intervenire nei confronti dei migranti esclusivamente con la strategia dei respingimenti. Tra questi Paesi, la Polonia, che ha annunciato la volontà di costruire una barriera di 180 chilometri lungo la frontiera con la Bielorussia: quella stessa frontiera che in questi giorni l’esercito polacco sta presidiando per allontanare i migranti provenienti per lo più Kurdistan iracheno e che vi si accalcano per entrare in Europa (ne abbiamo parlato già ne L’Azione del 14 novembre, in “Quartapagina”).
Lunedì scorso il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante un intervento all’Università di Siena, si è espresso sulle politiche europee di gestione dei movimenti migratori verso l’Europa. Mentre ha elogiato l’accoglienza da parte dell’Ateneo senese di alcuni studenti afghani, ha messo in guardia da «un fenomeno di strano disallineamento, di incoerenza, di contraddittorietà, tra i principi dell’Unione, tra le solenni affermazioni di solidarietà nei confronti degli afgani che perdono la libertà, e il rifiuto di accoglierli». E con preoccupazione ha poi lanciato un grido di allarme: «Sconcertante è quanto avviene in più luoghi ai confini dell’Unione; è sorprendente il divario tra i grandi principi proclamati dai padri fondatori dell’Ue e il non tenere conto della fame e del freddo cui sono esposti essere umani ai confini dell’Unione europea».
Con un titolo ed una copertina d’impatto (“Se questa è Europa”, con una corona di filo spinato giallo su campo blu, che richiama la bandiera della Unione europea), anche il quotidiano “Avvenire”, lo scorso 16 novembre, ha preso posizione sui fatti al confine tra Polonia e Bielorussia, contestualizzandoli però nell’ambito più ampio delle politiche europee di gestione dei flussi migratori. Nella conclusione del suo forte editoriale, Marco Tarquinio si chiede: «Se l’Europa è i campi di concentramento di Lesbo. Se l’Europa è il finanziamento diretto o indiretto dei lager e dei negrieri di Libia. Se l’Europa è l’intrico balcanico di recinti, campi minati e miliziani picchiatori. Se l’Europa è i fucili spianati di Ceuta e Melilla. Se l’Europa è le “giungle” di Calais. Se l’Europa sono gli eserciti schierati ai confini orientali e i poveri in mezzo. Se questa è l’Europa, l’Europa è imbelle, incrudelita e tradita. E noi non possiamo più dirci europei».
L’Europa è anche altro, ovviamente... È il Centro Astalli che da quattro decenni accoglie rifugiati da tutto il mondo. È l’Università di Siena che permette ad alcuni giovani afghani di studiare. Sono le “lanterne verdi” delle case polacche che segnalano la disponibilità a dare soccorso ai profughi in fuga dal confine. Europa è anche l’insieme di iniziative che le Caritas dei diversi Paesi stanno organizzando per l’emergenza al confine tra Polonia e Bielorussia: tra queste, in prima fila, anche Caritas Italiana (sul sito www.caritas.it le modalità per poter dare un aiuto concreto). Sono questi «i segni di speranza – ancora le parole di papa Francesco rivolte al Centro Astalli – che ci permettono di sognare di camminare insieme come un popolo nuovo “verso un noi sempre più grande”». Accanto a questi segni, però, ci vuole anche una politica europea diversa, più coesa ed organica, capace di affrontare il fenomeno migratorio non più come una “emergenza”, poiché – visto il suo perdurare – non può più essere definito come tale. Una politica, in sostanza, più umana e all’altezza di quei valori che stanno all’origine della stessa Europa, perché – e sono ancora le parole di Tarquinio - «europei, una buona volta, dobbiamo deciderci a essere».
Alessio Magoga
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