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Lo sport da salvare

L'editoriale del direttore de L'Azione don Alessio Magoga.

Lo sport da salvare

Da ragazzo mi sarebbe piaciuto giocare a rugby. Mi piaceva l’idea del faticare insieme per raggiungere lo scopo: la meta, appunto. Poi, la scuola e altri impegni - e forse anche un po’ di pigrizia - hanno dirottato tempo ed energie altrove. Così le occasioni e gli anni - ahimè - sono passati. Ma ho sempre conservato una certa ammirazione - e anche un po’ di invidia - per quanti hanno potuto sperimentarsi in qualche sport, soprattutto di squadra. Per la verità, non mi sono mai tirato indietro quando l’occasione si è presentata: dai tornei di calcio delle superiori, a qualche partitella all’università, in seminario o all’oratorio... Però, è chiaro, non è la stessa cosa! Pazienza. Le Olimpiadi di Rio de Janeiro in Brasile mi fanno tornare alla memoria questi ricordi, con un po’ di nostalgia. E mi fanno anche riflettere sullo sport, in generale. Voglio credere che resti una cosa bella. E voglio pensare che anche oggi possa essere il luogo in cui un giovane impara ad apprezzare il lavoro di squadra, il sacrificio, la costanza, il rispetto delle regole e dell’avversario.

Un luogo in cui si impara a tirar fuori l’entusiasmo, la grinta, la voglia di lottare per raggiungere un obiettivo. Insomma, voglio ostinatamente pensare che lo sport possa essere un luogo in cui una persona è educata, un po’ alla volta, ad ideali nobili e alti. Un luogo educativo, insomma. Un ex-animatore un giorno mi confidò che ricordava tra le figure di cui aveva maggiore stima il suo “vecchio” allenatore di calcio: “Certi valori che mi sono stati utili nella vita, li ho imparati da lui”. Non per nulla molte società sportive, anche del nostro territorio, sono nate proprio all’ombra del campanile, in un oratorio parrocchiale. E al valore educativo dello sport crede papa Francesco. Nel suo saluto al popolo brasiliano, in occasione delle Olimpiadi, il Pontefice ha augurato che “in un mondo che ha sete di pace, tolleranza e riconciliazione, lo spirito dei Giochi Olimpici possa ispirare tutti, partecipanti e spettatori, a combattere ’la buona battaglia’ e terminare insieme la corsa, desiderando conseguire come premio non una medaglia, ma qualcosa di molto più prezioso”.

Lo sport, infatti, può diventare un luogo in cui prepararsi a raggiungere alti obiettivi: “La realizzazione di una civiltà in cui regna la solidarietà, fondata sul riconoscimento che tutti siamo membri di un’unica famiglia umana, indipendentemente dalle differenze di cultura, colore della pelle o religione”. Purtroppo sappiamo che nello sport c’è anche dell’altro. Basti pensare alla piaga inquietante e dilagante del doping per ottenere la vittoria ad ogni costo oppure ai troppi soldi che girano in alcuni ambienti sportivi. Mi chiedo se sono eticamente accettabili certi contratti di allenatori e giocatori, ad esempio, del mondo del calcio! Le Olimpiadi inoltre hanno corso - e corrono - il rischio di essere “usate” per manifestare il potere di una nazione sull’altra. E delle critiche si possono muovere anche ai livelli sportivi più vicini a noi, dove può succedere che l’agonismo spinto all’eccesso faccia prevalere gli interessi della società sul fine pedagogico dello sport e, conseguentemente, sul bene dei ragazzi e dei giovani coinvolti...

Insomma, è necessario vigilare sempre per custodire la dimensione umana. Alcuni episodi recenti confermano che ciò è ancora possibile e che lo sport può essere sano. Penso all’impresa commovente dell’Islanda, la cenerentola del girone, che agli Europei di Francia ha passato il turno con una storica vittoria sull’Inghilterra. Penso alle parole straordinarie di Chaves, che sebbene sconfitto da Nibali al Giro d’Italia ha detto: “Oggi abbiamo fatto tutto per portare la maglia a casa. Non è stato possibile. Nibali è stato più forte. Non avevo la gamba come lui oggi... Questa è una semplice corsa in bici: non è la cosa più importante. I miei genitori sono qua per la prima volta in Europa. Questa è la vita. Questa è la vera vita!”. Straordinaria anche l’impresa del Leicester di Ranieri, che dopo aver vinto al Premier League ha affermato: “La favola del Leicester è stata resa possibile da venti giocatori amici che si aiutavano uno con l’altro e soffrivano insieme”. Ecco, se lo sport può aiutare anche oggi i nostri giovani ad impegnarsi in un “lavoro di squadra”, allora è senza dubbio da promuovere, ovunque, dentro e fuori i cortili delle parrocchie.

don Alessio Magoga

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