PERCHE' NON CI AMANO (NOI OCCIDENTALI)?
L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga
Lo scorso 23 febbraio l’Onu ha approvato una risoluzione contro l’aggressione russa dell’Ucraina con 141 voti a favore. I contrari sono stati 7 e 31 gli astenuti. Tra questi ultimi anche Cina e India, che insieme fanno due miliardi e 400 milioni di abitanti, vale a dire un terzo della popolazione mondiale. Tra i contrari, gli astenuti (e quanti non si sono presentati al voto) si contano Paesi africani, asiatici, sudamericani. L’esito del voto è stato salutato dall’Occidente, compreso il nostro ministro degli esteri Tajani, come una “vittoria schiacciante” dei Paesi democratici: 141 contro 7!
A ben guardare, però, non è proprio così schiacciante, perché una parte consistente del mondo – contrariamente a quanto noi occidentali saremmo portati a pensare – non appoggia l’azione militare dell’Occidente in favore del popolo ucraino. Non tanto perché ce l’abbia con l’Ucraina, quanto piuttosto perché non si fida degli Stati Uniti e non si fida nemmeno dell’Europa, in virtù dello stretto legame (militare e non solo) che la unisce agli Usa. Il dato può apparire paradossale e contraddittorio – e in parte lo è – perché Usa e Ue sono le mete più ambite dell’emigrazione da parte del Sud del mondo: il che è una sorta di riconoscimento dei valori che l’Occidente incarna (o forse semplicemente delle opportunità economiche che offre). I migranti – se non erro – non fanno rotta verso la Russia, né verso la penisola araba... E, tuttavia, ci sono anche altri decisivi fattori che influiscono sul modo in cui il Sud del mondo guarda all’Occidente.
Senza andare a rimestare l’epoca del colonialismo, basta fermarsi alla storia recente e mettere in fila le guerre della Nato (o a guida Usa), alle quali anche l’Italia in un modo o nell’altro ha partecipato. Il caso più eclatante (e recente) è quello dell’Afghanistan. Le immagini dell’abbandono di Kabul da parte delle forze occidentali, nella confusione più totale, non si devono dimenticare e non le dimenticheranno certo gli afghani. Un’azione militare iniziata nell’ottobre del 2001, dopo gli attentati delle “Torri gemelle”, allo scopo di liberare il Paese dai terroristi talebani si conclude vent’anni dopo, lasciando l’Afghanistan in mano agli stessi talebani che si voleva sconfiggere...
Restando in Medioriente, chi pagherà i danni della guerra in Iraq, iniziata nel marzo del 2003 con una motivazione ormai riconosciuta da tutti come palesemente falsa e secondo la quale Saddam Hussein sarebbe stato in possesso di “armi di distruzione di massa”? Ora l’Iraq è un Paese allo sbando, lacerato al suo interno e incapace di trovare stabilità. La Corte dell’Aja aprirà mai un fascicolo per chiedere conto a Bush junior di questa guerra di aggressione, che Giovanni Paolo II cercò in tutti i modi di scongiurare? «Di fronte alle tremende conseguenze che un’operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l’equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero derivarne – disse nell’Angelus del 16 marzo 2003 –, c’è ancora tempo per negoziare; c’è ancora spazio per la pace; non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare». Parole che caddero nel vuoto e che, a distanza di vent’anni, si sono dimostrate purtroppo profetiche.
Considerazioni simili si possono fare per l’intervento militare in Libia nel marzo del 2011, fortemente voluto da Francia, Gran Bretagna e Usa, che propiziò la rovinosa caduta di un Gheddafi, per la verità, già traballante. Si spalancarono così le porte ad una guerra civile che ha spaccato il Paese in due, con le conseguenze - anche sui flussi migratori - che ben conosciamo.
Fermo restando che l’aggressione russa all’Ucraina è da condannare nel modo più assoluto, l’Occidente deve prendere sul serio il fatto che non tutto il mondo plaude alle “cause” che sposa: è tempo di fare un esame di coscienza sul recente passato, chiamare per nome i propri errori, riconoscere i propri fallimenti. E così individuare delle vie per recuperare credibilità agli occhi del mondo. Dal canto suo, l’Europa deve convincersi che non può più pensarsi come una “propaggine” degli Usa, ma deve trovare, finalmente, una propria identità. E anche un proprio esercito, superando progressivamente lo “schema” della Nato.
Alessio Magoga
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento