ODERZO: “Il lavoro si trova, la casa no!”
L'intervento della Caritas opitergina, impegnata con "Casa san Tiziano"
Nata per rispondere ai bisogni verso i senza dimora e le persone che, per difficoltà improvvise, non hanno più un alloggio, dal 2021 a Oderzo c’è “Casa San Tiziano”. È in grado di accogliere fino ad otto persone (di sesso maschile), con tre camere da letto, due bagni, una cucina e una grande sala. Non è un ospizio ma un luogo di incontro con persone che si prendono cura; che fa uscire dall’indifferenziato, rendendo ciascuno una persona, un nome, un volto, una storia, unica e irripetibile: una scelta consapevole per emergere dall’isolamento e dall’emarginazione, ritrovare la propria dignità e dare una svolta alla propria vita. Per uomini con alle spalle una storia di solitudine e di legami recisi, rappresenta un primo significativo passo per un cambiamento possibile.
A “Casa San Tiziano” abbiamo visto accadere piccoli o grandi miracoli nei nostri ospiti durante il loro periodo di permanenza: recuperare la consapevolezza della propria dignità e la cura di sé, riprendere in mano la propria vita, ripensare a degli obiettivi, cercare e trovare un lavoro e subito dopo la casa, che, purtroppo, non si trova... Il lavoro si trova, sempre. La casa no! Molti di loro già lavorano stabilmente da anni, con contratti a tempo indeterminato: manodopera volenterosa, apprezzata, richiesta e stimata dai datori di lavoro.
Ma cosa può esserci per loro al termine dell’accoglienza in “Casa San Tiziano”? Le case per loro non ci sono, o non si trovano. Ricerche incessanti, si bussa a tutte le porte, ma nessuna risposta, nessuna soluzione. Nulla! Eppure, sappiamo che ci sono molti appartamenti sfitti nella zona. Anche per chi i requisiti ce li avrebbe – un contratto a tempo indeterminato, la disponibilità a versare depositi o caparre, e pure con una proposta, avanzata da parte nostra, di farci garanti per eventuali danni –, per loro sempre nulla!
Pensiamo anche ai ragazzi ospiti del Cas (ex caserma Zanusso), che trovano lavoro e, una volta terminato l’iter burocratico che li porta al permesso di soggiorno e alla regolarizzazione, non hanno più titolo per restare all’interno della struttura e vengono consegnati alla strada. Anche per loro le case non ci sono o non si trovano. Come può un imprenditore in coscienza non chiedersi come affronterà una giornata di lavoro chi ha dormito sulla panchina di un parco? O nel sottopasso di una stazione? O in una casa diroccata e abbandonata? Si cercano anche altre soluzioni (introvabili pure queste!): B&B, camere singole...
A questo proposito proviamo a riflettere sul business di chi affitta una sola camera o un posto letto (cucina e bagno in comune) dai 300 ai 550 euro al mese (o anche a 30 euro al giorno, solo alloggio), ricavando dal proprio appartamento un reddito che va ben oltre i canoni correnti di mercato. Gli ospiti di colore non sono graditi. Vengono presi a pretesto episodi di degrado delle abitazioni, causate da inquilini che hanno abitudini e tradizioni molto diverse dalle nostre. Probabilmente vero, ma chiediamoci anche: in quali condizioni sono quelle poche abitazioni che gli mettiamo a disposizione, e con quale densità abitativa?
L’emergenza abitativa sta coinvolgendo sempre più anche intere famiglie, con bambini piccoli, sfrattate, e che si ritrovano in mezzo alla strada. I servizi sociali dei comuni, oberati da richieste in costante aumento, non hanno ormai più nulla da mettere in campo... E anche per loro le case non ci sono, o non si trovano. Le case Ater, per bandi ormai quasi inesistenti, in molti casi restano chiuse e vuote perché non a norma, e l’ente non ha i fondi per sistemarle. Allora, come possiamo noi, uomini e donne di buona volontà, non sentirci provocati da questa sfida? “Casa San Tiziano” non è che una piccola risposta a un bisogno che però, essendo di dimensioni sempre più grandi e drammatiche, esige invece una “grande risposta”.
Come possono le istituzioni essere così sorde o cieche sul problema dell’abitare? Come può la nostra classe politica ignorare un dramma di così vaste proporzioni, non rendendosi conto che, se non si è in grado di contrastare efficacemente l’emarginazione, gli episodi di violenza e intolleranza si diffonderanno sempre di più, mettendo a repentaglio la società civile, la sicurezza e la qualità della vita per tutti? Occorre una grande risposta, che parta da una visione, una prospettiva, un obiettivo di integrazione vera e completa. E riesca a coinvolgere fattivamente, intorno a un unico tavolo, enti e istituzioni pubbliche, associazioni di imprenditori, enti del terzo settore e organizzazioni di volontariato... Affinché ognuno faccia la sua parte. E non solo a parole. Passiamo ai fatti! Caritas opitergina propone un progetto, che vorremmo chiamare “Albergo solidale”, in grado di autofinanziarsi e di fornire ad ospiti paganti una sistemazione decorosa e a prezzi equi: grazie ad esso si potrebbero individuare e sistemare strutture ricettive o abitazioni esistenti e dismesse. Un progetto serio, gestito tramite soggetti capaci e competenti, con tutte le carte in regola anche per poter attingere ai fondi pubblici, nazionali ed europei, che probabilmente ci sono e attendono solo i progetti per cui spenderli. Caritas c’è.
Mariano Pizzinat, presidente del Centro di ascolto - Caritas opitergina
Nella foto: Mariano Pizzinat (il secondo da dx), con alcuni membri della Caritas opitergina, e don Andrea Forest, direttore di Caritas Vittorio Veneto (il primo da sx)
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