
“La politica di Trump è contro ogni logica economica e i mercati finanziari, che seguono logiche economiche, lo stanno segnalando. Questi sono sempre momenti di assestamento che si superano, un nuovo equilibrio si dovrà trovare. Siamo di fronte sicuramente anche a degli eccessi di reazione, quando inizia il panico in borsa ci sono degli eccessi; ma, storicamente, i mercati finanziari hanno sempre recuperato, hanno sempre garantito mediamente rendimenti annui attorno all’8%”.
Così Leonardo Becchetti, professore ordinario di Economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, commenta la situazione economico-finanziaria venutasi a creare con l’annuncio da parte del presidente statunitense Donald Trump, di introdurre dazi per i prodotti importati da molti Paesi nel mondo, salvo poi ieri - 9 aprile - fare retromarcia e sospendere tutto per 90 giorni.
Professore, cosa sta succedendo?
"Siamo di fronte ad una crisi, anche nei mercati, che questa volta è veramente e unicamente causata dalla politica. Questo è il fatto singolare.
Ciò che ha indotto Trump a imporre dazi per metà mondo è il fatto che – secondo quanto ha dichiarato lui stesso – “per decenni Paesi sia amici che nemici hanno derubato gli Stati Uniti”. È davvero così?
"Questo è un delirio, nel senso che economicamente non ha nessun senso quello che dice il presidente degli Usa. Invece, nella realtà, semplicemente nel commercio internazionale ci sono Paesi che consumano di più e quelli che consumano di meno; Paesi con prodotti più forti che quindi vengono preferiti dai cittadini e vengono acquistati. Ci sono campi, come quello dell’hi-tech, nei quali anche noi usiamo prevalentemente prodotti americani; e ci sono altri settori nei quali gli americani usano prodotti italiani perché sono migliori".
Nel Giardino delle rose della Casa Bianca, Trump ha mostrato un cartello/tabella con numeri “sbagliati” ricavati da una formula “insensata”… Davvero si può scatenare una guerra commerciale ad ampio raggio partendo da ipotesi così approssimative?
"Quei numeri non hanno nessun significato. Com’è stato dimostrato sono semplicemente calcoli della forza commerciale di un Paese rispetto a un altro. Non c’è nessun dazio. Per esempio si è parlato del Lesotho, un Paese che esporta diamanti negli Stati Uniti e non è colpa sua. E questo non ha niente a che vedere con i dazi".
Come reagire alle decisioni dell’Amministrazione statunitense?
"La strategia migliore per tutti è sempre quella della de-escalation, cercando cioè di attenuare la tensione innanzitutto a parole, con le dichiarazioni – e questa è una cosa che Trump assolutamente non sta facendo – e con i comportamenti. Quindi, probabilmente non conviene che l’Europa applichi delle ritorsioni, anche perché poi questo danneggerebbe anche noi. Forse in questo momento sarebbe meglio semplicemente soprassedere, far passare la tempesta… e, certo, negoziare poi con gli Stati Uniti per tornare a un modello nel quale questi dazi vengano rimossi".
Chi pagherà il prezzo maggiore di questa guerra commerciale?
"Sicuramento lo pagheranno gli stessi Stati Uniti, per l’inflazione che arriverà e perché con questi dazi hanno aumentato praticamente i prezzi di tutti i beni importati. Per gli altri Paesi, io credo, l’impatto sarà più limitato. Da noi si parla di qualche decimale di punto di Pil; ovviamente dipende sempre da dove si arresterà il processo avviato con le scelte di Trump. Se si dovesse creare una spirale per dazi sempre più alti è chiaro che le cose non funzioneranno bene, ma se ci fermiamo per tempo i costi saranno tutto sommato limitati".
Si possono individuare aspetti positivi generati da questa nuova situazione?
"Nessuno. Perché la strada da percorrere è proprio quella contraria. Sappiamo bene che l’uno contro uno distrugge sempre valore mentre uno con uno ne crea. La strada è quella della cooperazione multilaterale, dell’apertura degli scambi; quella che avevamo intrapreso anche con la globalizzazione. Quello che possiamo fare è che tutti i Paesi colpiti dagli Stati Uniti in questo momento rafforzino le loro relazioni commerciali per controbilanciare anche quelli che sono poi i danni creati dalla politica dei dazi americani. Deve esserci una risposta nella direzione di una maggiore cooperazione da parte degli altri Paesi".
Questo può contribuire ad una correzione di ciò che non ha funzionato nella globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi decenni?
"Noi avevamo proposto alcune cose, che erano quelle su cui stava andando l’Europa… Per esempio il Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam), che mirava ad introdurre qualche limite a prodotti con standard ambientali e del lavoro che sono più bassi dei nostri; questa poteva essere una correzione del commercio internazionale di cui avevamo bisogno per mantenere l’apertura degli scambi evitando che il commercio diventi una corsa al ribasso sui diritti e sull’ambiente".
Al di là di quelle che saranno le reazioni di Ue e Governo italiano, c’è qualcosa che il consumatore italiano può fare?
"Deve usare quella che è la leva del voto col portafoglio. Cioè dobbiamo usare la nostra capacità di consumo e di risparmio per premiare o sanzionare chi si comporta in un certo modo.
Questo è quello che stanno facendo i canadesi, tra i quali l’85% ha detto che non vuole comprare prodotti americani… Questa può essere un’arma importante, perché può far capire a chi fa queste politiche ostili che può pagare un costo, anche senza creare una spirale di dazi. Chi sta già pagando questo effetto, per esempio, è la Tesla di Musk che ha perso moltissimo proprio perché se prima era la paladina del “green” per tutto un mondo di consumatori ora da quello stesso mondo vede crescere una rivolta. C’è chi, giustamente, vuole votare col portafoglio contro queste politiche".
Alberto Baviera