
Celebriamo la 33^ Giornata Mondiale del Malato (oggi, 11 febbraio, ndr) nel mezzo del cammino giubilare che ci invita ad essere “pellegrini di speranza”, e nell’ultimo anno del percorso sinodale della nostra chiesa italiana. “La speranza non delude (Rm 5,5) e ci rende forti nella tribolazione” è il titolo che Papa Francesco ha voluto dare a questa giornata. La sua riflessione parte dalla constatazione che, al di là della consolazione che il testo di San Paolo ci dona, la malattia è innanzitutto esperienza di fatica, talora aggravata dalla condizione di solitudine ed isolamento e, non raramente, anche dalla povertà che limita l’accesso alle cure e alla speranza di guarigione.
Al centro del dolore e della malattia c’è la perdita della propria libertà, della propria autonomia. Questa condizione sente di doversi appellare ad un aiuto che possa superare i nostri limiti e che solo “la Provvidenza, la Grazia di Dio e quella forza che è dono del suo Spirito” può offrirci. Come si concretizza la presenza di Dio vicino a chi soffre? Papa Francesco sottolinea tre aspetti di questa presenza: l’incontro, il dono e la condivisione.
Gesù stesso, nell’inviare in missione i suoi discepoli, li esorta a prendersi cura dei malati in modo da consentire che nelle pieghe del dolore nasca l’occasione dell’incontro con il Signore, vivendo la malattia come appello al cambiamento e alla conversione. “Il dolore porta sempre con sé un mistero di salvezza che rende vicina e reale la consolazione che viene da Dio”. Nel dolore, l’amore è in grado di dischiuderci ad un altro mistero, che è la presenza viva e sanante di Dio accanto alla nostra sofferenza. Dall’incontro scaturisce il dono della speranza capace di illuminare il buio della sofferenza e della malattia; solo questo spiraglio di luce ci fa scorgere “il volto del Signore che, come per i discepoli di Emmaus, si fa nostro compagno di viaggio”.
Nella speranza del Risorto “possiamo condividere con Lui il nostro smarrimento, le nostre preoccupazioni, le nostre delusioni”. La sua parola ci riscalda il cuore e ci dona occhi per riconoscerlo accanto a noi quando spezziamo il pane, ritrovando coraggio e fiducia. I luoghi della sofferenza devono divenire luoghi di condivisione, dove tutti impariamo a sperare, a credere, a sperimentare il mistero dell’amore, sull’esempio del samaritano che, dedicandosi all’esercizio della cura, diventa “angelo di speranza, messaggero di Dio”. La nostra condizione di fragilità ci porta al centro dell’attenzione del Signore che ci è padre e ci ama singolarmente ed integralmente. Il suo amore per noi esige che siamo una comunità capace di crescere e camminare insieme, una comunità che sia luogo di grazia.
La ricerca della condivisione porta i malati e chi li assiste ad un arricchimento reciproco, ad incrociare gli sguardi nell’amore e nella prossimità. Sono “incontri di grazia” che rimangono impressi nell’anima ed insegnano “il gusto vero della vita”. I malati e coloro che prestano assistenza ai soffrenti hanno un ruolo speciale in questo giubileo: il loro camminare insieme è per tutti un inno alla dignità umana e un canto di speranza. Il dolore ci chiede di non rimanere indifferenti: gli occhi dei credenti sono pieni dello sguardo d’amore di Gesù che dall’esperienza pasquale fa del dolore di ognuno il proprio.
Questa presenza della comunità cristiana accanto ai soffrenti è un incoraggiamento nella carità per tutta la società che, come un solo coro, “sviluppa un’armonia dolcissima e forte, capace di portare luce e calore là dove ce n’è più bisogno. Ogni nostro destino trova il suo posto nell’orizzonte infinito dove nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio”.
Qui si nutre la grande speranza dei cristiani che celebriamo in questo giubileo. Ogni giorno il mondo viene arricchito dal servizio di chi assiste e consola chi ha provato l’esperienza dura del dolore, dell’abbandono degli amici, della croce e sta in mezzo alla fatica di vivere. È qui che la speranza aperta dalla Resurrezione ci rende più forti, perché consapevoli di non essere soli e del fatto che non esiste dolore al mondo che il cielo non possa consolare.
Gian Antonio Dei Tos
direttore ufficio diocesano di pastorale della salute