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CHIESA: professione solenne di fra Daniele Zanardo

È originario di Ramera

CHIESA: professione solenne di fra Daniele Zanardo

Sabato 8 ottobre alle 15.30 nella chiesa di San Francesco a Mantova, fra Daniele Zanardo farà la professione solenne dei voti religiosi nelle mani del ministro provinciale dei frati minori fra Enzo Maggioni. A presiedere l’eucaristia sarà fra Mario Vaccari, vescovo di Massa Carrara-Pontremoli. Daniele è di Ramera. È nato nel 1992 da Franco Zanardo e Antonella Sartor, e ha un fratello, Alberto.

Lo abbiamo intervistato per L'Azione di domenica 9 ottobre. Ecco il testo integrale.

Daniele, cosa ti ha affascinato di san Francesco, tanto da farti decidere di "lasciare tutto" ed entrare tra i francescani? 

Di san Francesco mi ha in particolare colpito la radicalità della povertà (soprattutto quella interiore) e dell'umiltà, che gli ha permesso di vivere sempre da innamorato, in costante obbedienza alla Chiesa e ad ogni creatura. Povertà e umiltà erano per Francesco due virtù sorelle! Questa intuizione profonda lo ha portato attraverso continue e progressive "spogliazioni", per cui è giunto non soltanto a rinunciare a tutti i suoi averi, ma anche ad affrontare quel senso di abbandono che sentì ad un certo punto in mezzo ai suoi stessi compagni in fraternità. Francesco arriverà alla fine a rinunciare all'idea stessa di vita come di una pretesa. Per me è stato fondamentale conoscere Francesco attraverso i suoi Scritti e in particolare il Testamento, dove realizza che ciò che ha fatto non è merito suo ma che è stato il Signore a donargli di fare penitenza conducendolo tra i lebbrosi e a usare con essi misericordia. Ho solo chiesto che il Signore mi facesse sperimentare una gioia altrettanto grande per vedere se era vero che, come scrive Francesco, ciò che è amaro si cambia in dolcezza di animo e di corpo, e... beh, eccomi qua!       

Nella società di oggi c'è una forte desiderio di vita "insieme" (a livello familiare, parentale, comunitaria...) ma nel concreto si registrano tanti fallimenti e una crescita delle situazioni di vita solitaria, specie dopo la pandemia. Tu come stai vivendo l'esperienza di vita comunitaria? 

Nel Testamento, Francesco dice che è stato sempre il Signore a dargli tanta fede nella Chiesa e nei sacerdoti e a donargli dei fratelli con cui vivere secondo la forma del santo Vangelo. Il vivere assieme è per me un grande mistero, e in definitiva è un altro dono immeritato che ho ricevuto, pur con le sue sfide e fatiche. Nelle sue luci e nelle sue ombre mi ha fatto finora venire fuori per come sono, perché possa anch'io vivere da “figlio” come il Figlio, e chiamare gli altri “fratelli” perché figli dello stesso Padre.  Non penso che si possa realizzare una vera fraternità o comunità umana se le sue membra più deboli non sono guardate con amore e se il male che abita ciascuno di noi non viene preso in considerazione e affrontato. Forse le due cose spesso coincidono: nella misura in cui ci si riconosce piccoli e bisognosi si può permettere all'altro (e, alla fine, all'Altro) di guarire quelle ferite che generano morte dentro di noi e tutt'attorno. Altrimenti, il nemico sarà sempre qualcuno fuori contro cui scagliarsi: persino le persone con cui si è costruito la vita intera assieme, o addirittura la propria immagine riflessa nello specchio... Immagino che questo non abbia molto a che fare con la fraternità, e con lo stesso vivere insieme. 

Quali servizi ti sono stati affidati all'interno del convento e a favore delle persone ed eventualmente delle comunità che fanno riferimento ad esso? 

Ho potuto finora dedicarmi e spendermi in diversi ambiti, ad esempio nell’incontro con la fragilità fisica e psichica di uomini e donne spesso lasciati ai margini; nell’accoglienza e cura delle persone disagiate e senza fissa dimora che bussano cercando spesso non solo un piatto caldo ma anche un ascolto e un rispetto che altrove gli è negato; nella presenza nel carcere di Mantova attraverso la cappellania e il sostegno a detenuti ed ex detenuti durante il Covid; in un servizio di doposcuola con i bambini delle elementari per fare assieme i compiti; nelle attività più svariate con i giovani e con gli scout...senza contare poi la scuola di teologia e i vari lavori interni al convento che ci dividiamo tra noi frati. In generale lo stile che mi è stato mostrato è quello di una condivisione fraterna dei servizi e di una certa libertà nell'essere capace di lasciare a qualcun'altro ciò di cui ti sei occupato finora, senza che quel ruolo o lavoro diventi "tuo" e basta. A Mantova abbiamo insistito molto sull’uscire ad incontrare e a conoscere la gente nei loro luoghi di gioia, di fatica e di impegno, anziché aspettare che siano loro a cercarci. A Monza mi è stato chiesto di occuparmi in particolare della pastorale giovanile (oltre che di concludere la scuola).    

Cosa ricordi di Ramera e del convento di Vittorio? Quali i tuoi legami oggi con queste due realtà? 

Per Ramera ho un pensiero tanto grato e riconoscente, ed è una festa per me quando torno per qualche giorno a trovare la mia famiglia, gli amici e i parrocchiani! è proprio bello, pur nella distanza, sapere di avere dei legami così forti e autentici. In parrocchia ho conosciuto negli anni tante persone che per me hanno avuto un sacco di attenzioni e si sono spese gratuitamente, anche quando non ricambiavo per niente a tanto amore e dedizione. Se non posso ricambiare tutto quello che ho ricevuto, almeno mi è ora di esempio per fare del mio meglio nei luoghi dove mi mandano. Intorno ai 22 anni, il convento di Vittorio Veneto è stata per me una meravigliosa scoperta di fraternità, di accoglienza reciproca e di accompagnamento spirituale, che mi ha testimoniato un volto di Chiesa che non abbandona nessuno e che sa mettersi dalla parte dei più deboli. Mi ha fatto pensare che sarebbe piaciuto anche a me essere questo per gli altri, dopo essermi sentito io per primo un debole bisognoso di ascolto. Torno volentieri quando posso a trovare i frati e a sentire un po’ di aria di “casa”.    

Quale pensiero di san Francesco o di altro credente o frase del vangelo ti fa da guida nella vita? Perché la senti particolarmente "tua"? 

Fin da piccolo mi affascinava molto il Vangelo e trovavo serenità nel leggere passi come “non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete; né per il corpo, di quello che indosserete” e anche “Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta”, dal vangelo di Luca. Sempre dallo stesso Vangelo, al capitolo 15, è stato molto forte per me immedesimarmi ad un certo punto nelle parole “questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Nelle parabole del “tesoro nascosto” e della “perla di grande valore” rivedo l’intuizione di aver trovato qualcosa di veramente prezioso e unico nella vita da non perdere, e nella vedova povera che getta due monetine mi provoca ancora tantissimo il fatto che lei, “nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. Di San Francesco non posso che citare una delle sue frasi che mi è più cara e che vorrei fosse un augurio per tutti i lettori: “Nulla, dunque, di voi trattenete per voi, affinché tutti e per intero vi accolga Colui che tutto a voi si offre”, dalla Lettera a tutto l’Ordine

Federico Citron

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