Il dolore del Papa per i fratelli che "cercavano la felicità" e hanno trovato la morte
Al Regina Cæli, Francesco prega per l'ennesima tragedia nel Canale di Sicilia, per cui si parla di 700 morti. Ricorda poi l'ostensione della Sindone e spiega cosa vuol dire essere "testimoni"
Si parla di circa 700 vittime nel naufragio avvenuto la notte scorsa nel Canale di Sicilia, a circa 60 miglia dalla costa libica. Una strage di migranti inghiottiti dalle acque del Mediterraneo. L’ennesima. Tanto da far affrontare la questione all’opinione pubblica forse con cinismo e anche una punta di indifferenza, dimenticando che queste centinaia di morti sono soprattutto persone.
Sono “fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerre; cercano una vita migliore. Cercavano la felicità...”, come ha ricordato Papa Francesco durante la preghiera del Regina Coeli di oggi, in piazza San Pietro. Il Vescovo di Roma grida tutto il suo dolore dalla finestra del Palazzo Apostolico. E mentre assicura agli scomparsi e alle loro famiglie il suo ricordo e la sua preghiera, lancia un nuovo accorato appello alla comunità internazionale affinché agisca “con decisione e prontezza”.
Bisogna “evitare che simili tragedie abbiano a ripetersi”, afferma il Santo Padre, bisogna impegnarsi affinché vite umane non vengano nuovamente spezzate. “Sono uomini e donne come noi”, sottolinea, e invita i numerosi pellegrini nella piazza “a pregare in silenzio, prima, e poi tutti insieme per questi fratelli e sorelle”.
Nella catechesi prima della preghiera mariana, il Pontefice aveva incentrato la sua riflessione sulla parola “testimoni”. Una parola che nelle Letture della liturgia odierna risuona due volte: prima sulle labbra di Pietro, dopo la guarigione del paralitico presso la porta del tempio di Gerusalemme, poi su quelle di Gesù risorto, che, la sera di Pasqua, “apre la mente dei discepoli al mistero della sua morte e risurrezione”.
Cristo dice ai dodici: «Di questo voi siete testimoni». Essi videro infatti con i propri occhi il Cristo risorto, e “non potevano tacere la loro straordinaria esperienza”. Gesù stesso – evidenzia il Santo Padre - si era mostrato loro perché portassero a tutti “la verità della sua risurrezione”, attraverso proprio la testimonianza.
La Chiesa, quindi, – prosegue Francesco – “ha il compito di prolungare nel tempo questa missione”. Ogni battezzato è chiamato allora a testimoniare, “con le parole e con la vita, che Gesù è risorto, che Gesù è vivo e presente in mezzo a noi”. Ogni cristiano è “testimone”.
Ma “chi è il testimone?”, domanda il Papa. Semplicemente è “uno che ha visto, che ricorda e racconta”. Che ha visto, cioè, una realtà, “con occhio oggettivo” e non “indifferente”, e che quindi la “ricorda” nel senso che “sa ricostruire in modo preciso i fatti accaduti, ma anche perché quei fatti gli hanno parlato e lui ne ha colto il senso profondo”. Questa realtà quindi la “racconta”, non però “in maniera fredda e distaccata” bensì “come uno che si è lasciato mettere in questione, e da quel giorno ha cambiato vita”.
“Il testimone è uno che ha cambiato vita”, dice il Pontefice, e “vedere, ricordare e raccontare sono quindi i tre verbi che ne descrivono l’identità e la missione”. Perché “il contenuto della testimonianza cristiana – rimarca - non è una teoria, non è un’ideologia o un complesso sistema di precetti e divieti oppure un moralismo, ma è un messaggio di salvezza, un evento concreto, anzi una Persona: è Cristo risorto, vivente e unico Salvatore di tutti”.
Una testimonianza, questa, che può darla solo chi ha fatto “esperienza personale di Lui, nella preghiera e nella Chiesa, attraverso un cammino che ha il suo fondamento nel Battesimo, il suo nutrimento nell’Eucaristia, il suo sigillo nella Confermazione, la sua continua conversione nella Penitenza”. E tale testimonianza sarà “tanto più credibile quanto più traspare da un modo di vivere evangelico, gioioso, coraggioso, mite, pacifico, misericordioso”.
“Se invece il cristiano si lascia prendere dalle comodità, dalla vanità, dall’egoismo – ammonisce il Papa - se diventa sordo e cieco alla domanda di ‘risurrezione’ di tanti fratelli, come potrà comunicare Gesù vivo, come potrà comunicare la potenza liberatrice di Gesù vivo e la sua tenerezza infinita?”.
Affidiamoci allora a Maria nostra Madre – prega Francesco - perché “ci sostenga con la sua intercessione, affinché possiamo diventare, con i nostri limiti, ma con la grazia della fede, testimoni del Signore risorto, portando alle persone che incontriamo i doni pasquali della gioia e della pace”.
Dopo il Regina Coeli, il Papa ha salutato i pellegrini provenienti dall’Italia e dal resto del mondo. In particolare ha rivolto uno speciale pensiero al gruppo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in occasione dell’odierna Giornata Nazionale di sostegno a “questo grande Ateneo”. “È importante – ha detto - che esso possa continuare a formare i giovani ad una cultura che coniughi fede e scienza, etica e professionalità”.
In conclusione, Bergoglio ha ricordato la solenne ostensione della sacra Sindone iniziata oggi a Torino. “Anch’io, a Dio piacendo, mi recherò a venerarla il prossimo 21 giugno”, ha rammentato. E ha concluso auspicando “che questo atto di venerazione ci aiuti tutti a trovare in Gesù Cristo il Volto misericordioso di Dio, e a riconoscerlo nei volti dei fratelli, specialmente i più sofferenti”.
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