Solidarietà, non violenza e lotta contro il male sono possibili
L'editoriale del direttore de L'Azione.
Con gli orribili attentati di Parigi riprende fiato il coro degli anti migranti, con gli acuti dei Salvini, dei Belpietro e compagnia cantante. Della compagnia fanno parte anche molti che si professano cristiani praticanti, religiosi ferventi. Giustificano la loro xenofobia con la difesa della fede cristiana contro l’empietà islamica che sta invadendo le nostre comunità distruggendo quel poco di fede cristiana che ancora resiste. Ma un credente in Gesù Cristo, anche in situazioni estreme come questa, non deve allontanarsi dallo spirito del vangelo che non ammette né il rifiuto dell’altro, anche quando diventa nemico, né l’uso della forza. Noi dobbiamo continuare ad aprire le porte a chi fugge dall’inferno della guerra e del terrorismo e a chi vuole cercare condizioni di vita più vivibili. È giusto, è umano, è evangelico. Di fronte allo sdegno generale per i fatti di Parigi, i profughi ospitati nella caserma Serena di Treviso hanno detto: “Adesso capite perché noi scappiamo dalle nostre terre. Ciò che è successo a Parigi sono fatti quotidiani da noi”. Ma la fedeltà al vangelo ci obbliga anche a non limitarci a ripetere queste convinzioni. Siamo obbligati anche a trovare il modo di contrastare la violenza omicida tanto più quando si serve della religione per giustificare questi orrori. Papa Francesco all’Angelus di domenica ha ancora una volta gridato il suo basta: “Voglio riaffermare con vigore che la strada della violenza e dell’odio non risolve i problemi dell’umanità e che utilizzare il nome di Dio per giustificare questa strage è una bestemmia”.
Come mantenere lo spirito di non violenza del vangelo e nello stesso tempo fermare questa violenza? Si fa strada la convinzione che di fronte all’aggressione dell’Isis non servono le strategie di difesa usate contro altre storiche aggressioni, come ad esempio contro le armate di Hitler. L’invadere territori con eserciti ci infila in situazioni di impantanamento da cui non si riesce poi ad uscire. Soprattutto crea vulcani di odio pronti a esplodere alla prima occasione con più intensità di prima. La repressione armata ci porta verso un mondo sempre più conflittivo, sempre più invivibile, fino all’autodistruzione dell’umanità. Le azioni più efficaci per difenderci dal terrorismo sono la vigilanza, il controllo, la conoscenza (quella che viene chiamata appunto intelligence), l’azione preventiva. E per quanto riguarda la nuova strategia di occupazione territoriale da parte del califfato, solo accordi tra stati direttamente interessati e nazioni influenti possono ottenere risultati efficaci che fermino l’avanzata e liberino il territorio. Tanto più che molti fatti ci inducono a credere che la nascita di questo mostro sia frutto di errori e di ambigue connivenze di costoro: Arabia Saudita, Turchia, Iran, Stati Uniti, Russia, Europa. Ma l’azione più efficace è riuscire a tirar fuori l’Islam moderato, che rappresenta la stragrande maggioranza, dal silenzio e dall’ambiguità in cui continua a rifugiarsi. La guerra dell’Isis resta pur sempre una guerra islamica. Non basta affermare che essa non c’entra niente con il vero Islam. Lo si deve dimostrare con chiarezza. Si sentono soltanto voci singole di condanna. Manca una condanna pubblica corale, inequivocabile.
È vero che l’Islam, non avendo una struttura gerarchica, non ha chi possa convocarlo per questa chiara dissociazione. Tuttavia, se veramente la stragrande maggioranza dei musulmani è contraria a questa barbarie, deve trovare il modo di mobilitarsi M e far sentire una voce unitaria. Al limite possono essere gli stati occidentali a convocare tutti gli iman, le università, i centri di studio islamico per questo pronunciamento e chi non si presenta deve essere considerato un collaboratore e sottostare a tutte le azioni del caso. È anche necessaria una coraggiosa autocritica e un atto positivo di purificazione dello spirito bellico che è insito fin dalla nascita dell’Islam. Il Profeta è stato anche un guerriero. Ernesto Galli della Loggia ha scritto (Corsera del 16 novembre) che è necessario un confronto più incalzante con l’Islam, non frenato dalla paura di mancargli di rispetto, perché renda conto delle sue pratiche attuali e dei comportamenti lungo la storia, come fa continuamente la cultura occidentale e in particolare, per l’aspetto religioso, il cristianesimo. “Potrebbe servire – scrive lo storico – a ricordare, per esempio, che le Crociate furono soprattutto una debole e caduca risposta (per giunta limitata alla Palestina o poco più) alle immani conquiste militari realizzate dall’Islam nei tre secoli precedenti di territori in parte cristiani come il Nord Africa”. Nessuno deve aver paura della verità. Ben sapendo che l’Isis è, oltre che una furia omicida, anche un grande inganno in cui molte persone semplice e molti giovani cadono.
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