E lo conduce fuori
La riflessione sul vangelo domenicale.
Domenica 7 maggio - IV di Pasqua - anno A - quarta settimana del Salterio - colore liturgico bianco At 2, 14. 36-41; Sal 22; 1Pt 2, 20-25; Gv 10, 1-10
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla
Non è un’immagine che vediamo spesso quella del pastore e delle pecore… ma il vangelo di Giovanni ne fa grande uso. Dobbiamo allora tener conto degli usi della Palestina del tempo di Gesù: le pecore erano tra gli animali che, in un certo senso, condividevano anche per anni la vita familiare. Al di là dell’immagine noi possiamo dire che il Signore si prende cura dei discepoli, come il pastore buono si prende cura delle pecore, “perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Noi ci crediamo alla vita, noi vogliamo una vita realizzata, noi vogliamo una vita piena, noi vogliamo una vita che non si concluda con la morte. Noi N vogliamo allora incontrarci con il “pastore buono” con il “pastore bello”, con il “pastore ideale”. Non vogliamo incontrarci con i pastori camuffati da ladri e briganti. Ma come si fa a riconoscere il buon pastore dal cattivo pastore?
Lo si riconosce dal suo amore disinteressato e totale: “Il buon Pastore offre la sua vita per le pecore”. Il pastore è uno che sta con le pecore, giorno e notte, fino a portarsene dietro l’odore. Legato alle pecore ne condivide in tutto e per tutto l’esistenza. Il buon pastore chiama le sue pecore, ciascuna per nome. Non l’anonimato del gregge, ma nella sua bocca il tuo nome proprio, è il nome dell’affetto, dell’unicità, dell’intimità, pronunciato come nessun altro sa fare. Il Signore sa che il tuo nome è “creatura che ha bisogno”. Ad esso Lui sa e vuole rispondere. “E le conduce fuori”: il nostro non è un Dio dei recinti chiusi ma degli spazi aperti, pastore di libertà e di fiducia. “E cammina davanti ad esse”: non un pastore di retroguardie, ma una guida che apre cammini e inventa strade, è davanti e non alle spalle. Non un pastore che pungola, incalza, rimprovera per farsi seguire ma uno che precede e seduce con il suo andare, affascina con il suo esempio: pastore di futuro. “Io sono la porta”: Cristo è passaggio, apertura, porta spalancata che si apre sulla terra dell’amore leale, più forte della morte (chi entra attraverso di me si troverà in salvo); più forte di tutte le prigioni (potrà entrare e uscire), dove si placa tutta la fame e la sete della storia (troverà pascolo).
Si tratta di custodire le parole del suo vangelo, meditandole con cura, per averne luce per la nostra esistenza. Solo così ognuno farà esperienza di un rapporto personale e profondo. È in questo contesto che veniamo raggiunti da una chiamata del tutto particolare, che apre i nostri orizzonti a una risposta fiduciosa e a un servizio generoso anche in una vocazione di speciale consacrazione, come preti, suore, religiosi e missionari. Dal momento che sono “gregge di Cristo” posso anche domandarmi se sto vicino al Pastore- Gesù, dentro il recinto, che è la Chiesa, se passo dentro e fuori il recinto attraverso la porta che è Gesù, o se invece scappo da Lui, scegliendo di vivere a modo mio, ponendomi non alla luce del suo amore, ma dietro al luccichio della moda.
Don Piergiorgio Sanson
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