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LITURGIA: il commento alla Parola di domenica 27 agosto

A cura di don Giorgio Maschio

Parole chiave: Parola (5), liturgia (8), commento (5), Maschio (3), domenica (3)
LITURGIA: il commento alla Parola di domenica 27 agosto

Domenica 27 agosto – 21^ del Tempo Ordinario - anno A

Is 22,19-23; Sal 137; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20

“La gente chi dice che io sia?”: è Gesù stesso a porre ai suoi discepoli la domanda e, con essa, a sollevare il problema della sua persona. Ma fa una distinzione fra ciò che dice “la gente”, che lo ha ascoltato e visto agire solo occasionalmente, e i suoi discepoli, che stanno sempre con lui e condividono la sua missione. Potremmo pensare oggi alle diverse opinioni che sui giornali e sui tanti schermi troviamo a proposito di Gesù, e quello che invece dicono di lui i discepoli, la sua Chiesa. Le opinioni della gente di allora sono tutte positive: lo si vede come uno dei grandi profeti della storia di Israele.

Più importante è l’altra domanda: “Per voi, chi sono io?”. Qui gli apostoli parlano tutti per bocca di uno solo, Pietro, ed esprimono l’identica persuasione: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. L’evangelista scrive qui una delle pagine più decisive della sua catechesi: Gesù non è “uno” dei tanti grandi uomini apparsi sulla scena della storia – così dicevano in fondo tutte le varie opinioni mondane – ma “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Quell’articolo “il”, che si ripete, mette in fuga ogni possibilità di classificare Gesù: egli è assolutamente un unico nella storia, che sfugge a ogni paragone.

Questo dice ancora la Chiesa apostolica, che si esprime per bocca di Pietro. Gesù è il messia, atteso dagli uomini di ogni tempo; il Dio con noi, il vivente sul quale non ha potere la morte. Questa certezza riassume tutto il percorso fino ad allora compiuto dagli apostoli al suo seguito, è la persuasione ragionevole di chi si è coinvolto in prima persona con Gesù di Nazareth.

Ma non è semplicemente la conclusione di un ragionamento: è la certezza della fede e come tale viene dall’alto. È il Padre a ispirarla, perché vuole che su questa fede si costruisca la Chiesa. La parola “Chiesa” compare qui per la prima volta nella risposta di Gesù, che dice anzi “la mia Chiesa”. Non l’hanno inventata gli apostoli, l’ha voluta il Padre. Il Figlio l’ha fatta sua sposa, rimanendole così unito da non temere di affidare a un uomo poteri inauditi, propri solo di Dio. Pietro ha il potere delle chiavi, può liberare gli uomini dal più tenace e tremendo dei legami che li affliggono: quello del peccato, sciolto il quale c’è il ritorno alla libertà dei figli di Dio. Ma riceve anche la certezza di non soccombere alle forze infernali, con un potere sconosciuto a qualsiasi realtà mondana: la Chiesa resterà eternamente, pur essendo fatta di poveri uomini.

Si può comprendere che questi pochi versetti siano stati tra i più bersagliati di tutto il Nuovo testamento, tanto nell’antichità quanto in tempi più recenti. Gesù in effetti, con la sua risposta, unisce per sempre sé stesso con la Chiesa e la Chiesa con Pietro. Dobbiamo persuaderci che essa è sua e non nostra; e sarà sempre sua solo riconoscendosi unita a Pietro e ai suoi successori. Così è fatto Dio: in Gesù e nella sua Chiesa Dio vuol essere vicino anche sensibilmente a ciascun uomo, che non lo voglia per pregiudizio rifiutare. Tanto vicino da farsi trovare nel tabernacolo di una qualsiasi parrocchia di campagna... da assicurarci la sua misericordia quando entriamo in un confessionale.

Don Giorgio Maschio

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