A proposito di vangelo e rosario
L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.
“Dica al Papa che non abbandoneremo mai il Vangelo di Gesù”. Sono le parole di una donna del nord dell’Iraq che il segretario della Cei, mons. Galantino, ha riportato nel suo breve discorso tenuto al Colosseo – illuminato di rosso per l’occasione – il 24 febbraio scorso. Il contesto era quello dell’iniziativa dedicata alla sensibilizzazione ai cristiani perseguitati, promossa dall’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre” (Acs). Contemporaneamente, nella stessa sera, si sono tinte di rosso anche la cattedrale maronita di Sant’Elia ad Aleppo, in Siria, e la chiesa caldea di San Paolo a Mosul, in Iraq. L’obiettivo dell’iniziativa era portare l’attenzione, in modo del tutto particolare, su quella parte di mondo segnata da atroci conflitti, dove confessare la propria fede in Cristo può costare la vita. Il Medio Oriente, come anche altre regioni del pianeta, continua ad essere un luogo di persecuzione, che vede progressivamente diminuire la presenza dei cristiani. Una presenza minoritaria – quella cristiana – ma antica e preziosa, per il ruolo che da sempre svolge nella costruzione della pace nei vari ambiti della società. Secondo Acs, la persecuzione contro le confessioni cristiane oggi è più grave che in altri periodi storici e, in forme diverse, riguarda Paesi come Egitto, Iran e India ma soprattutto Arabia Saudita, Cina, Corea del Nord, Eritrea, Iraq, Nigeria, Pakistan, Siria e Sudan. Il vangelo di Gesù, in questi Paesi, si rivela una “pietra d’inciampo” e l’adesione ad esso richiede per i credenti una scelta molto coraggiosa.
Sempre sabato scorso, in Vaticano, papa Francesco ha ricevuto Rebecca, nigeriana, sfuggita dopo due anni di prigionia ai terroristi di Boko Haram. La giovane mamma ha testimoniato che è sopravvissuta grazie alla preghiera: “Senza la fede – racconta – non sarei potuta andare avanti”. Insieme a lei, c’erano anche il marito e la figlia di Asia Bibi, la pakistana cattolica in carcere da nove anni con l’accusa di blasfemia e sulla quale pende la condanna a morte. Eisham – questo il nome della figlia di Asia – si è avvicinata al Papa e gli ha detto: “Mamma mi ha detto di darle un bacio”. Ne è seguito un lungo abbraccio e il dono da parte del Papa di un rosario: “Portalo alla mamma – ha detto il Pontefice –. Dille che prego per lei. Dille che prego per tutti i cristiani perseguitati”. Un rosario, semplicemente, il dono del Papa. Chissà per quante persone nel mondo il vangelo e il rosario non sono oggetti tra gli altri o generici simboli culturali, bensì segni esigenti di una decisione coraggiosa a favore del “caso serio” della propria vita: Gesù Cristo. Dovremmo trattarli anche noi, nel mondo occidentale, con più cura e con più rispetto, evitando ogni forma di banalizzazione o di teatralizzazione. Vangelo significa “buona notizia” e i suoi destinatari sono tutti gli uomini, non solo alcuni. Il rosario è una forma di preghiera mariana che ha come scopo, ancora una volta, di intercedere per il bene di tutto il mondo. Non si legge mai il vangelo e non si prega mai il rosario “contro qualcuno” ma sempre “a favore di tutti”. Anche dei propri nemici. Così ha insegnato Gesù. Pertanto ogni utilizzo dei simboli cristiani al fine di creare divisioni o contrapposizioni è una evidente contraddizione in termini. Allo stesso modo fregiarsi dei simboli cristiani, senza accogliere interiormente con un minimo di convinzione e di coerenza ciò che essi significano e rappresentano, rischia di cadere in una palese forma di ipocrisia. Vangelo e rosario sono simboli “seri” che interpellano la coscienza e chiedono di accogliere nella sua interezza, senza preclusioni selettive, il liberante e impegnativo messaggio di Gesù. Ce lo ricorda, in modo esemplare, il coraggio dei martiri e dei cristiani perseguitati, che nel vangelo e nella preghiera hanno trovato e continuano a trovare ragioni di vita (e talvolta anche quelle per affrontare la morte). Non lasciamo cadere nel vuoto la loro coraggiosa testimonianza.
Don Alessio Magoga
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