BANDIERA BIANCA
L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga
Papa Francesco ha sdoganato un nuovo “genere letterario” nella comunicazione pontificia: accanto alle encicliche, alle esortazioni apostoliche, ai messaggi e ai discorsi ufficiali, da un po’ di tempo c’è anche l’intervista. Sono davvero numerose quelle che papa Francesco ha rilasciato ai vari mezzi di comunicazione in diverse occasioni: dai dialoghi con i giornalisti in aereo, di ritorno dai viaggi apostolici, alle interviste a giornali e televisioni. Con dei vantaggi indubbi, in termini di immediatezza della comunicazione e di empatia con un pubblico molto più ampio del consueto e che esce dai consueti contesti “ecclesiali”. Ma anche con degli evidenti rischi, perché nella presa diretta con l’intervistatore una parola può essere scelta con una certa fretta e conseguentemente il messaggio può essere reso in modo meno adeguato. Forse, per papa Francesco, questo rischio fa parte di quella idea di “Chiesa-ospedale da campo” che continuamente richiama: una Chiesa più attenta al contenuto ed ai destinatari del messaggio che alla forma. È una scelta, che si può condividere o meno. Di fatto, è quella che Papa Francesco ha fatto e continua a fare.
Alcune interviste sono risultate davvero magistrali (ne abbiamo parlato, ad esempio, in un editoriale del 17 gennaio 2021: “Non solo Grande Fratello”). Altre volte hanno dato adito a strumentalizzazioni o fraintendimenti, che hanno reso necessario l’intervento chiarificatore di una “nota esplicativa”: è il caso dell’intervista rilasciata recentemente alla Radio televisione svizzera (RSI), che sarà mandata in onda il prossimo 20 marzo, ma che è circolata, praticamente da subito, nella versione scritta.
Il punto più controverso – che ha provocato dure reazioni soprattutto da parte ucraina – sono le parole del Pontefice in riferimento alla guerra russo-ucraina. In particolare, il cenno – tra l’altro, “imbeccato” dall’intervistatore – al coraggio di “alzare bandiera bianca”: «Credo che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare». E ancora (ma sarebbe importante leggere tutto il testo, peraltro non così lungo), lì dove il Papa dice: «Quella parola, negoziare, è una parola coraggiosa. Quando tu vedi che sei sconfitto, che la cosa non va, avere il coraggio di negoziare. E ti vergogni, ma se tu continui così, quanti morti (ci saranno) poi? E finirà peggio ancora. Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore».
Se ci mettiamo dalla parte del popolo ucraino, davvero “martoriato” come non si stanca di ripetere il Papa stesso, queste parole sembrano dure, se non addirittura ingiuste: “Siamo stati aggrediti, ci hanno portato via vite umane, infrastrutture e territori; ci siamo difesi con coraggio e orgoglio, ed ora dovremmo alzare bandiera bianca?”. Vorrebbe dire accettare il sopruso e la sconfitta del diritto internazionale: quali potrebbero essere le conseguenze di una tale decisione? Non è difficile ipotizzare che, nel mondo, il più forte si sentirebbe autorizzato a prendersi quello che vuole: non solo la Russia, che potrebbe replicare lo stesso schema in altri scenari simili, dove vi sono minoranze russe (vedi la Transnistria e soprattutto la Moldavia); ma anche la Cina con Taiwan.
Detto questo, però, le parole scomode – e forse espresse in modo un po’ affrettato dal Papa – hanno messo a nudo ciò che appare sempre più evidente: le crescenti difficoltà dell’Ucraina a continuare una guerra dai costi drammatici, che – tra l’altro – combatte con le armi occidentali ma senza che Usa e Ue versino una sola goccia di sangue. Le parole di Papa Francesco non intendono sminuire gli sforzi che questo popolo coraggioso e dignitoso ha messo in campo in questi due anni di lotta, ma vuole svelare, forse con eccessiva crudezza, lo stato delle cose e cioè che siamo in un vicolo cieco: l’economia russa, nonostante le sanzioni, non sembra crollare; Putin – sbarazzatosi direttamente o indirettamente dei suoi avversari interni – appare più forte di due anni fa; la maggioranza del popolo russo sembra condividere le ragioni dello Zar; l’esercito russo si è riorganizzato ed è ben armato… Da questo vicolo cieco, suggerisce il Papa, si può uscire solo attraverso dei processi di negoziato, che fino ad ora – dobbiamo riconoscerlo – sono stati tentati solo in modo disarticolato, timido, senza convinzione... Se non si negozia, gli scenari futuri potrebbero essere questi: un vergognoso abbandono dell’Ucraina a sé stessa, come è accaduto in Afghanistan (una pagina – quella afghana – che dire vergognosa per Usa e Nato è dir poco) oppure un progressivo e massiccio coinvolgimento della Nato in Ucraina, con invio non solo di armi ma, ad un certo punto, anche di uomini. L’Occidente (cioè noi) è davvero disposto a tanto?
Allora le parole di Papa Francesco – per quanto scomode e dolorose – forse non sono così fuori luogo, né devono essere prese come offensive. È davvero così sbagliato, almeno ora, cercare in modo serio una qualche forma di negoziato?
Alessio Magoga
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