“CIVILTÀ DELLO SCARTO O CIVILTÀ DELL’AMORE?”
L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.
“Je suis Vincent Lambert”. Con questo slogan, da mesi, molti cittadini francesi (ma non solo) si sono attivati in difesa di Vincent, il quarataduenne in stato vegetativo dal 2008 a causa di un grave incidente stradale. Attualmente all’ospedale di Reims, l’uomo si trova al centro di un’aspra battaglia legale: da una parte, la moglie Rachel, che ha chiesto più volte di sospendere le terapie che lo tengono in vita (tra cui la nutrizione e l’idratazione); dall’altra, i suoi genitori, Pierre e Viviane, che si battono perché Vincent continui a vivere e sono contrari all’interruzione delle cure. Lo scorso 21 maggio, nel giro di poche ore, si sono verificati ben due colpi di scena. Dopo una lunga e durissima battaglia legale tra le due parti, è prima arrivato l’ordine dell’interruzione della nutrizione e dell’idratazione artificiali che tengono in vita Vincent: il suo destino sarebbe stato quello di morire di fame e di sete, giorno dopo giorno, accompagnato da una sedazione profonda e continua. Poche ore dopo, sempre il 21 maggio, la Corte d’appello di Parigi, a cui si erano rivolti i genitori, ha ordinato la ripresa dei trattamenti. Si legge nella sentenza che lo Stato francese deve “adottare tutte le misure necessarie” per far rispettare quanto deciso il 3 maggio scorso dal Comitato Onu sui diritti delle persone con disabilità circa il mantenimento di alimentazione e idratazione. Il caso è complesso e si lega alle varie interpretazioni di una discussa legge francese – la legge Leonetti – la quale, secondo alcuni, permetterebbe l’interruzione dei trattamenti vitali al verificarsi di talune condizioni. Per noi italiani, il caso Vincent richiama alla memoria quello di Eluana Englaro, ma situazioni simili, in Europa, sono migliaia (si pensi, ad esempio, al campione di Formula uno Michael Schumacher). Secondo la moglie ed alcuni altri familiari, Vincent non sarebbe disposto a vivere così e, se fosse libero di esprimere il proprio parere, chiederebbe di porre fine alla propria esistenza. Prima del suo tragico incidente, tuttavia, Vincent non ha lasciato nulla di scritto che comprovi o autorizzi una simile conclusione.
Una visione diametralmente opposta è quella dei genitori (e di alcuni altri membri della famiglia), che si oppongono con tutte le forze all’interruzione delle cure, perché Vincent non è affatto un malato terminale, ma è vivo, in uno stato di coscienza seppure minimale, e può provare sentimenti quali la gioia e la tristezza. La Chiesa francese si è schierata dalla parte dei genitori. Chiara la presa di posizione del gruppo di bioetica della Conferenza episcopale francese che in un comunicato ha affermato: «Vincent Lambert ha diritto ad una protezione adeguata, proprio come qualsiasi persona disabile. Ogni persona disabile, non importa quanto fragile, ha gli stessi diritti di tutti gli altri». Nei giorni scorsi anche il Dicastero per Laici, famiglia e vita e la Pontificia Accademia per la Vita hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui si definisce l’interruzione dei trattamenti a Vincent una «grave violazione della dignità della persona… una forma di abbandono del malato, fondata su un giudizio impietoso sulla sua qualità della vita». La nota precisa che «l’alimentazione e l’idratazione costituiscono una forma di cura essenziale sempre proporzionata al mantenimento in vita» e che «alimentare un ammalato non costituisce mai una forma di irragionevole ostinazione terapeutica, finché l’organismo della persona è in grado di assorbire nutrizione e idratazione, a meno che non provochi sofferenze intollerabili o risulti dannosa per il paziente ». Contestualmente, papa Francesco, pur senza citare esplicitamente il nome di Vincent, ha chiesto di pregare «per quanti vivono in stato di grave infermità »: «Custodiamo sempre la vita – ha ribadito –, dono di Dio, dall’inizio alla fine naturale. Non cediamo alla cultura dello scarto ». Che ne sarà ora di Vincent? La battaglia non è finita, ma prorogata di sei mesi: questo è il tempo concesso per un ulteriore approfondimento del caso da parte del Comitato dell’Onu sui diritti delle persone con disabilità. Dopo di che, presumibilmente, si arriverà ad una determinazione definitiva: per la vita o per la morte. Il caso Vincent è un dramma sotto vari profili. È il dramma di un giovane uomo, vittima di un terribile incidente. È pure il dramma di una famiglia che si trova lacerata e divisa al capezzale del proprio caro. Ma è anche il dramma di un intero Paese, la Francia, o forse anche dell’intera Europa e di tutti Paesi Occidentali: il caso Vincent è la cartina tornasole del senso di umanità delle nazioni “più evolute”. Lo esprime molto bene l’arcivescovo di Parigi, mons. Michel Aupetit: «C’è sempre da fare una scelta di civiltà molto chiara: o consideriamo gli esseri umani come dei robot funzionali che possono essere eliminati o mandati alla rottamazione quando non servono più; o consideriamo che lo specifico dell’umanità si fonda non sull’utilità di una vita, ma sulla qualità delle relazioni tra le persone che rivelano l’amore. Non è questo che accade, quando una mamma si china in modo elettivo verso quello dei suoi figli che soffre o che è più fragile? È la scelta davanti alla quale ci troviamo. Cristo ci ha rivelato la sola maniera per crescere in umanità: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati. E ci ha dato l’unica maniera di esprimere questo amore: Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per quelli che ama. Una volta di più, ci troviamo a confrontarci con una scelta decisiva: la civiltà dello scarto o la civiltà dell’amore ». Ecco, cittadino europeo, da che parte vuoi andare?
Alessio Magoga
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