CURA DEL CREATO E PRIORITÀ PASTORALI
L'editoriale di questa settimana de L'Azione.
Dai cambiamenti climatici alle devastazioni prodotte da insoliti temporali, dall’aumento dell’inquinamento in tutte le sue forme al moltiplicarsi di patologie correlate, dal vorticoso consumo di risorse al mai cessato fenomeno migratorio: tutto attorno a noi ci parla di una necessaria “conversione ecologica”, nell’ottica della “ecologia integrale” precisata da papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, che quest’anno compie i suoi primi cinque anni. La questione ambientale – intesa come “cura della casa comune”, ovverosia attenzione verso ogni creatura, ma anche sensibilità verso ogni forma di povertà e ingiustizia – è sempre più una questione primaria, tralasciando la quale si tradisce la fedeltà a Dio e al Vangelo di Cristo. Eppure, l’impressione che si ha frequentando i nostri ambienti ecclesiali è che questo sia ancora un ambito guardato con sospetto e sufficienza, come se fosse soltanto un affare che compete agli addetti ai lavori o, peggio, a qualche idealista/ ideologo che ha tempo da perdere. Tutt’al più c’è chi si muove perché questioni particolari – come ad esempio il problema dell’uso dei pesticidi in agricoltura – rappresentano una minaccia per la propria vita o per quella della propria famiglia o del proprio territorio. Sì, già qualcosa... Ma è troppo poco! Ed è ancora meno se come Chiesa restiamo soltanto spettatori davanti a quanto accade nel nostro presente, usando le encicliche come materiale formativo per “anime belle”, senza che questo ci scaldi il cuore e ci induca a compiere dei passi concreti. Il rischio è quello di perdere l’appuntamento con la storia e trovarci concentrati soltanto sulla vita intra-ecclesiale (liturgia, catechesi, carità), perdendo di vista tutto l’ampio orizzonte extra-ecclesiale, ambito nel quale le comunità cristiane potrebbero giocare tutta la loro credibilità, vivendo una testimonianza evangelica fatta di presenza responsabile nei contesti della vita sociale in tutte le sue forme.
Solo una comunità cristiana aperta alle “gioie e ai drammi del mondo, alle sue angosce e alle sue speranze” (parafrasando le parole iniziali della costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II) può tentare di essere ancora una presenza significativa, profetica, non asfittica e non irrisoria. E oggi, in questa prospettiva, l’emergenza ecologica non può che essere un’urgenza anche pastorale, se davvero riconosciamo nella creazione e nella vita di ogni donna e ogni uomo l’impronta di Dio. L’enciclica Laudato si’ ci ha offerto moltissimi spunti – spesso, purtroppo, ancora disattesi – per vivere nella concretezza dell’agire la nostra responsabilità di cristiani che abitano questo segmento della storia. Ne ricordo soltanto due, anche alla luce degli spunti che la recente Giornata per il creato ci ha offerto. Sobrietà. Se la radice della crisi ecologica sta nel nostro modello economico improntato al consumo a tutti i costi, il primo passo non può che essere quello di sensibilizzare a stili di vita diversi, caratterizzati dalla sobrietà, da uno sguardo contemplativo capace di valorizzare le piccole cose, dall’educare al riciclo e a forme di economia circolare. Quanto incisiva può essere una comunità cristiana che si senta “corpo” nel porsi come esempio di scelte alternative e controcorrente! Basti pensare a quanto peso possa avere una scelta condivisa di acquistare un certo tipo di prodotti realizzati nel rispetto di valori etici, o a km 0, valorizzando i piccoli produttori locali: il “voto con il portafoglio” può davvero determinare un cambiamento apprezzabile. Relazioni. Tra le cose che ci siamo detti all’infinito dentro l’esperienza del Coronavirus che stiamo vivendo, è quella dell’importanza delle relazioni. E in effetti l’enciclica Laudato si’ non smette di ripetere il ritornello che “tutto è connesso”. Una comunità cristiana non può ignorare di essere costitutivamente relazionale: non soltanto al suo interno in forza dei legami sacramentali che la determinano, ma anche verso ogni altra persona e ogni altro elemento della “casa comune” che è il mondo. Valorizzare le relazioni significa saper entrare in profondo ascolto con quanto ci attornia; e quando l’ascolto è vero, deve necessariamente tradursi in un protendersi verso l’altro – persona o creatura – per contribuire al suo bene. La relazione diventa così antidoto alla “globalizzazione dell’indifferenza”, che è il male del nostro tempo. Sobrietà e relazioni; rinnovati stili di vita e capacità di accoglienza: due piccoli passi per iniziare un cammino di sensibilizzazione dentro le nostre comunità cristiane, nella certezza che solo una Chiesa “in uscita”, con il cuore aperto sul mondo, può essere fedele interprete della sua missione.
Don Andrea Forest
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