Equilibrare il diritto di emigrare con la situazione dei paesi che ospitano
L'editoriale di don Giampiero Moret.
Regolare i flussi migratori ed eliminare i trafficanti di esseri umani. Sono i due obiettivi che il vertice tenutosi a Parigi lunedì scorso si è proposto. Due obiettivi chiari che sono poi l’essenza del dramma immane delle migrazioni. Al vertice, fortemente voluto dall’Italia, hanno partecipato Francia, Germania, Italia e Spagna e i leader di Libia, Niger e Ciad. Finalmente qualcosa si è mosso. È vero che per ora sono solo propositi, cioè parole, ma questa volta sembrano propositi più fermi e parole più sincere del solito. E non dimentichiamo che contemporaneamente a Roma si è tenuta la seconda riunione della cosiddetta “Cabina di regia”, messa in piedi dall’Italia nei mesi scorsi, con i ministri dell’Interno di Italia, Libia, Niger, Ciad e Mali, che continua il paziente lavoro di trovare accordi, provvedimenti concreti che hanno creato quella specie di miracolo di aver fatto scendere il numero degli sbarchi nel nostro Paese nel mese di agosto a circa tremila, contro i 21 mila dell’agosto 2016.
Che cosa hanno pensato i leader che si sono trovati a Parigi per trovare il modo di regolare queste fiumane di uomini, donne, bambini che dall’Africa, ma anche dall’Asia, si riversano sulle nostre coste? Il premier spagnolo Rajoy lo ha detto in maniera efficace: «Bisogna spostare le frontiere dell’Europa in Africa», cioè fermare i migranti prima che arrivino sulle coste del mare Mediterraneo dove trovano pronti i delinquenti che li ammassano sui barconi e li mettono in balia delle onde, dopo averli derubati di tutto. Al vertice erano presenti i capi di governo del Ciad, del Niger e della Libia (Tripoli), perché sono questi i Paesi chiave per quanto riguarda l’emigrazione dall’Africa. In Niger e Ciad si ammassano dal resto dell’Africa per poi passare, dopo un disastroso viaggio nel deserto, in Libia. In pratica bisognerebbe creare in Ciad e in Niger dei centri dove i profughi siano bloccati prima che attraversino il confine con la Libia e dove venga esaminata la loro situazione: se hanno il diritto di asilo proseguiranno il viaggio in maniera sicura, altrimenti saranno rispediti nei loro Paesi.
Il progetto è interessante. Non bisogna soffocare sul nascere il tentativo di regolare l’immigrazione caotica che causa vittime e disordini. Ma affinché le speranze non diventino cocenti delusioni, bisogna anche dire le colossali difficoltà e anche le ambiguità che ci sono nel progetto. In primo luogo bisogna rendersi conto della fragilità delle istituzioni di questi Paesi. Nel nostro Paese abbiamo creato gli hotspot, dove chi sbarca viene sottoposto ad un primo censimento. Sappiamo che non funzionano perché in pratica non sono altro che centri di smistamento delle persone che poi vengono sistemate nei luoghi di prima accoglienza sparsi in tutto il Paese, dove soggiornano a lungo prima di avere una risposta alla loro richiesta. Si teme che in pratica questi nuovi centri diventino sterminati campi profughi, come in Turchia, in Giordania, in Libano, dove si vive una vita d’inferno. La spettacolare diminuzione degli sbarchi sulle nostre coste nei due ultimi mesi è avvenuta perché il governo di Tripoli, aiutato dai mezzi dell’Italia, blocca le partenze e chiude i profughi in veri lager. Certo non si vuole che avvenga questo, ma i modi e i mezzi per impedirlo sono tutti da inventare.
In secondo luogo fa problema il criterio con cui si fa la cernita. Sì ai profughi di guerra, no ai profughi economici, che emigrano per cercare migliori condizioni di vita. È giusto? Non c’è anche un diritto di migrare per vivere meglio? Non ne abbiamo usufruito noi nel passato? Ma come riconoscerlo in maniera da non destabilizzare i Paesi di destinazione? Questo è il vero nodo da sciogliere. Questa è la vera regolazione dei flussi: equilibrare il diritto generale di emigrare da situazioni difficili anche economiche, con le situazioni del Paese che riceve. A Parigi il problema è emerso, ma è rimasto là, sospeso come un grande punto interrogativo. Il premier Gentiloni lo ha dichiarato pubblicamente, riconoscendo che il freno ai flussi deve andare di pari passo con gli aiuti per lo sviluppo dei Paesi africani. Il presidente del Ciad è stato più esplicito: «Che cos’è che spinge i giovani africani ad attraversare il deserto a rischio della loro vita? È la povertà». Fin che l’Africa rimane nelle condizioni attuali nessuno fermerà la grande fiumana umana. Non illudiamoci.
Infine sono da superare i blocchi mentali che ci sono ancora nelle teste di molti di noi nei confronti di chi è diverso, anche solo nel colore della pelle. Lo abbiamo visto nei giorni scorsi qui da noi, a Francenigo, come riferiamo nella cronaca locale. Basta vedere qualcuno con una faccia diversa che subito scattano gli allarmi e si incomincia a sragionare. Affittare un alloggio a dei neri? Per carità, sono pericolosi! Ho bisogno di una colf o di una badante? Ma che non sia africana, mi fa ripugnanza! Finché rimangono queste paure e questi pregiudizi, anche una minima presenza di immigrati creerà problemi insormontabili e nessuna iniziativa politica avrà successo.
GpM
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