MATERNITA' SURROGATA: DUE PUNTI FERMI
L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga
Per chi ha un minimo di dimestichezza con Internet basta digitare sulla barra di ricerca “gestazione per altri” o “maternità surrogata” e trova facilmente il sito di qualche agenzia (anche in lingua italiana) che propone senza troppi giri di parole la via più diretta per realizzare “finalmente” il proprio desiderio di genitorialità. Sul sito si possono leggere i Paesi di provenienza della “madre surrogata” (cioè la donna nel cui grembo verrà innestato l’embrione), il preventivo dei costi dell’operazione (più o meno alto a seconda dello standard economico del Paese della madre: si va dai 50/60 mila sino ai 120/130 mila euro), tutte le informazioni necessarie (legali e mediche) per portare a termine con successo la gestazione…
In Italia la “gestazione per altri” (Gpa), detta anche “utero in affitto”, non è permessa. I siti, come quello sopra descritto, sono di fatto un escamotage per aggirare la legge italiana: se in Italia non è possibile accedere alla Gpa, basta rivolgersi ad un’agenzia con sede all’estero (Russia, Ucraina, Albania ma anche Canada e Stati Uniti…) ed il gioco è fatto.
Alla “gestazione per altri” accedono le coppie omosessuali maschili. Le coppie omosessuali femminili, invece, possono scegliere la procreazione medicalmente assistita (Pma), che in linea di principio può permettere ad entrambe le donne della coppia di diventare “madre biologica” del nascituro (una può mettere a disposizione l’ovulo da fecondare e l’altra può vivere fisicamente la gravidanza). Va aggiunto che sono molte anche le coppie eterosessuali che per diversi motivi (infertilità, età avanzata, ragioni estetiche…) decidono per la “gestazione per altri”: qualche stima parla dell’80-90% dei casi in Italia. La Gpa, quindi, non si configura soltanto come un fenomeno ad appannaggio del mondo omosessuale (maschile) ma anche di quello eterosessuale.
La Gpa pone almeno due ordini di problemi. Uno riguarda l’eticità della “gestazione per altri” in sé stessa. Ed uno riguarda il riconoscimento giuridico, nell’ordinamento italiano, dei bambini nati all’estero, grazie alla Gpa. In alcuni Paesi esteri, infatti, non c’è difficoltà a riconoscere il nascituro come figlio di due padri, mentre in Italia questo passaggio non è consentito: ad oggi, si riconosce la “paternità” di uno dei due uomini della coppia (quello che ha fornito il proprio patrimonio genetico), mentre per l’altro è ammessa (eventualmente) la via dell’adozione.
Questo secondo ambito della questione – quello del riconoscimento nell’ordinamento giuridico italiano dei figli ottenuti tramite Gpa all’estero – ha scatenato e sta scatenando forti tensioni in Italia tra chi è decisamente contrario e chi è a favore (o per lo meno possibilista). Tra questi ultimi, vanno annoverati diversi sindaci (con in testa il Primo cittadino di Milano, Beppe Sala), che hanno a che fare con la trascrizione nei registri delle anagrafi comunali dei figli della Gpa. Tra i primi, invece, si collocano le forze politiche dell’attuale governo, a cominciare dal ministro Piantedosi, che nello scorso gennaio ha inviato ai Prefetti una circolare che vietava la trascrizione automatica.
L’impressione che si ha, dando una scorsa al dibattito pubblico di queste settimane innescato soprattutto dalla circolare di Piantedosi, è che si proceda volentieri per slogan, a scapito della complessità della questione. Che in realtà ha già ottenuto un’autorevole risposta con la sentenza n. 38.162 delle Sezioni unite della Cassazione, pubblicata lo scorso 30 dicembre, e sulla quale si fonda la circolare del ministro dell’Interno.
Senza ripercorre analiticamente l’intero dispositivo giuridico della sentenza, si possono (per lo meno) individuare due punti fermi nella presa di posizione della (laica) Cassazione. Innanzitutto, la sentenza ribadisce in modo molto netto che la maternità surrogata, anche laddove avvenga in forma gratuita, è sempre da considerarsi una pratica «che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». Su questo punto, tutte le forze politiche in Italia sembrano d’accordo, anche se il fronte (ho l’impressione) si sta un po’ alla volta sfrangiando. Ora, se la Gpa in Italia è considerata alla stregua di un reato, il riconoscimento del provvedimento straniero – afferma la Cassazione – «finirebbe per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante». Detto altrimenti, la trascrizione automatica finirebbe per far passare l’idea che la Gpa in Italia è una pratica non ammessa ma comunque tollerata, di fatto “sdoganandola”.
In secondo luogo, la sentenza della Cassazione prende posizione sul fatto che diventare genitori non è una scelta discrezionale degli adulti, ma richiede un qualche vincolo tra gli adulti e il nascituro. In altri termini, non basta che io “mi senta” o “voglia essere” genitore perché automaticamente lo sia anche da un punto di vista giuridico (genitore d’intenzione). «L’instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore – affermano la Cassazione – non si coniugano con l’automatismo e con la presunzione, ma richiedono una valutazione di concretezza». In sostanza, la sentenza ribadisce che, per quanto riguarda la procreazione, non è in gioco solo il “desiderio” di due adulti di diventare genitori ma anche il “preminente interesse del bambino” che deve essere rispettato e collocato all’interno di un reale e verificabile rapporto di cura e di affettività.
La materia in oggetto andrà certamente normata in modo più puntuale dal legislatore, per non lasciare vuoti giuridici in un campo così delicato e complesso. L’importante – come ribadito dalla Cassazione – è che si tenga conto in modo centrale del “preminente interesse del nascituro” e resti confermato il giudizio negativo sulla Gpa. Mettere al mondo un figlio è una cosa ben diversa dallo scegliere un “prodotto” da un catalogo on line. Su questo dovremmo essere d’accordo tutti.
Alessio Magoga
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