NEL FONDO DELL'ANIMO LA GENTE E' VIVA E SOLIDALE
L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga
Cinici, egoisti e nostalgici. Sono queste le tre categorie che, in uno stimolante articolo, comparso sull’inserto Sette del Corriere della Sera, Antonio Polito individua all’interno della nostra società in questo tempo di guerra in Ucraina. I primi spiegano il conflitto nella logica del “pesce grande” che mangia il “pesce piccolo”; i secondi sono esclusivamente preoccupati delle ricadute economiche del conflitto sul proprio portafoglio; i terzi vedono in Putin il difensore di una visione alta e “metafisica” della realtà che, secondo loro, l’Occidente ha tradito. Tre categorie che, per Polito, se non parteggiano apertamente per Putin, certamente non manifestano alcun tipo di vicinanza e di prossimità al popolo ucraino, sebbene ingiustamente invaso dalla superpotenza russa. Una totale mancanza di “empatia”, cioè di quella capacità naturale dell’uomo di mettersi nei panni di chi è più sfortunato, è quanto denuncia l’editorialista del Corriere.
Sebbene schematica ed approssimativa, l’analisi di Polito coglie nel segno: basta dare uno sguardo ai social, strumenti nati con buone intenzioni, ma che si stanno rivelando sempre più un’arma a doppio taglio, un luogo di giudizi perentori ed affrettati, uno sfogatoio di frustrazioni ed aggressività represse, che acuisce ed inasprisce le divergenze di opinione. Vien da chiedersi se, da un punto di vista pastorale e in ordine all’annuncio del vangelo, ha ancora senso abitarli.
Tuttavia, al di là di tutta questa acrimonia che avvelena il web, nella vita reale c’è molto altro, c’è molto di più. Ne stiamo dando conto sulle pagine de L’Azione (e non solo noi) ormai da settimane, da quando cioè è scoppiata la guerra. Mi riferisco al movimento di bene che si è messo in moto, senza tanti “se”, senza troppi “ma” o senza tanti “sì, ma…”: sì, ma anche l’Ucraina…; sì, ma anche la Nato… Penso alle manifestazioni di piazza, come quella vissuta a Vittorio Veneto sabato scorso, con una rappresentanza significativa della comunità ucraina, costituita in buona parte da donne che si prendono cura degli anziani nelle nostre case. Penso ai rosari spontanei, ai momenti di preghiera nelle parrocchie, a quelli condivisi a Conegliano e Vittorio Veneto con la comunità ucraina cattolica di rito greco-bizantino. Penso alle raccolte di viveri e di fondi, avviate dalla Caritas (sia diocesana sia foraniale) oppure da parrocchie, scuole, movimenti ed associazioni, non solo di matrice cattolica. Penso, in modo del tutto particolare, a chi ha deciso di mettere a disposizione le proprie case per accogliere i profughi: sono numerosi i singoli cittadini che – nonostante le ingenti difficoltà di ordine amministrativo e burocratico – stanno optando per questa scelta. E decisamente importante, in questo ambito di intervento, è anche la disponibilità messa in campo da diocesi e parrocchie.
“C’è tanto bene che fiorisce – scrive Francesco Zanotti del Corriere Cesenate – proprio come antidoto alla guerra, per non farci marcire il cuore di rabbia, di rancore, di odio. Ci sarà anche tanta emotività, come spesso succede in frangenti come questi. Forse è inevitabile. Ma in tutto questo vi è anche il fondo dell’umano che si commuove davanti a una richiesta di accoglienza, a un bisogno impellente, a un popolo intero che chiede aiuto. L’Italia profonda è anche questa: un Paese vivo e solidale, con l’animo generoso”. A questa solidarietà ed empatia, che ancora resistono nel cuore di tanti, guarda con fiducia papa Francesco. All’Angelus di domenica scorsa, Bergoglio ha invitato tutti a stare vicini al popolo ucraino, ad abbracciarlo con affetto, con l’impegno concreto e con la preghiera: “Non stanchiamoci di accogliere – ha affermato – con generosità, come si sta facendo: non solo ora, nell’emergenza, ma anche nelle settimane e nei mesi che verranno”.
Alessio Magoga
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