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PERCHÉ SPERANZA NON MUOIA...

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

PERCHÉ SPERANZA NON MUOIA...

Piccola Amal, che significa “speranza”, lo sai che la tua foto ha fatto il giro del mondo? Il fotografo che l’ha scattata dice che l’ha fatto “perché il mondo deve conoscere” e così ha vinto l’ambito premio Pulitzer. Come mi disse un amico giornalista: “Io, certe foto, non riesco proprio a farle!”. Si rasenta il gossip volgare di chi sbircia dalla serratura o di chi indugia morboso sulle tragedie degli altri. Sai, come i curiosi che si fermano lungo le strade, intasandole, per guardare gli effetti devastanti degli incidenti oppure si fanno i selfie tra i rottami e i feriti (sì, purtroppo c’è anche questo...). Ma forse ha ragione il fotografo americano e i giornalisti – “prostitute e sciacalli” che non sono altro, come qualche politico ci ha definiti in questi giorni – servono proprio a questo “sporco lavoro”: a rappresentare quello che va in scena nel mondo e a far capire come vanno le cose. Servono a mostrarci il cono d’ombra della nostra coscienza, per aprirci gli occhi sui drammi che non vogliamo vedere, soprattutto quando fa più male e si vorrebbe girare la testa altrove. 

E allora forse ha ragione chi ti ha scattato la foto, perché quello scatto è importante, anche se è troppo doloroso vederti così. Sei un mucchietto di ossa di una bimba di sette anni, che ne dimostra di meno, tanto che ci si chiede come fai ad essere ancora in vita. Ti ha portato in ospedale tua mamma, in un campo profughi nello Yemen. Tuo padre vi ha abbandonate e vive da un’altra parte. Lì dove siete voi non c’è cibo a sufficienza né l’indispensabile per le cure sanitarie che potrebbero salvarti la vita. Dopo qualche giorno di tentativi, vi hanno rimandate nella tenda-rifugio del tuo campo. Tua madre ce l’ha fatta. Tu no, piccola Amal, tu non ce l’hai fatta: il tuo corpo non era più in grado di reagire alle deboli cure cui ti avevano sottoposto. I tuoi grandi occhi, senza lacrime, si sono chiusi come quando si entra nel sonno, senza un sussulto, senza un lamento. Così dicono che sia andata quelli che ti sono stati vicino. Piccola Amal, che significa “speranza”, tu sei una dei tanti poveri del mondo, che in questi giorni il Papa ci chiede di ascoltare. Una delle tante vittime delle assurde guerre che insanguinano il pianeta: nel tuo caso, lo scontro nello Yemen tra due fazioni: una vicina all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi, l’altra all’Iran. Un altro dramma – quello nello Yemen – che si consuma da anni nel disinteresse generale. Gli osservatori prevedono il rischio di una carestia dalle proporzioni bibliche in quella regione della penisola araba. E che dire delle tue piccole sorelle e dei tuoi piccoli fratelli, Amal, nel Sud Sudan? Che dire dei tuoi fratellini e delle tue sorelline nell’isola di Lesbo, il campo profughi che accoglie circa 9 mila persone: qui non c’è bisogno di recinti, perché ci pensa il mare e tenerli lontani dalla terra. Lo sai che diversi di loro sono talmente stanchi di star lì, in mezzo al nulla, che hanno perso la speranza di un futuro? Occhi persi nel vuoto, senza una prospettiva, senza un sogno per il domani, senza più un passato, in un presente oscuro e immobile, senza sbocchi. Lo sai che cosa aveva scritto un’altra tua piccola sorellina, Desirée, 16 anni uccisa in un quartiere di Roma, dalle droghe e dagli abusi di uomini infami? Aveva scritto pochi giorni prima della morte sul suo profilo Facebook che la vita “non è come nelle favole: qui i cattivi vincono”. Qui, cioè in questo mondo: qui in Italia, come in Sud Sudan, a Lesbo, in Siria… nello Yemen. Anche per Desirée la “speranza” era morta, uccisa dai grandi, prima che fosse ammazzata nel suo corpo. Piccola Amal, vedi quanta cattiveria c’è nel mondo? Ma per questo è importante raccontare la tua storia e quella di questi tuoi tanti fratelli e sorelle. Anche a questo servono i fotografi e giornalisti, perché possono fare arrivare il tuo grido muto a più orecchi possibile. E, alla faccia dei cattivi che portano la morte, anche qui, in questo mondo – cioè nella nostra Italia, nello Yemen, in Sud Sudan – un domani non troppo lontano possa rinascere una nuova “speranza”.

Alessio Magoga 

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