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Primo passo del Jobs Act. E fioccano le critiche

L'editoriale del direttore de L'Azione don Giampiero Moret

Primo passo del Jobs Act. E fioccano le critiche

Il Jobs Act non è più un fantasma. Proclamato fin dall’inizio del governo Renzi come la soluzione del problema lavoro, era rimasto sempre evanescente. Più promesse di soluzione che indicazioni concrete. Ora sta prendendo corpo. Il 20 marzo scorso è stato pubblicato il decreto legge n. 34: “Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese” che ora è all’esame del parlamento. Ma la sua apparizione ha scatenato più critiche che consensi. La Camusso lo ha bollato senza remissione: “Ha proposto le stesse cose fatte in questi anni. Non c’è nulla di nuovo”. Anche all’interno del Pd sono fioccate le critiche. Fassina ha tuonato: “No alla manodopera usa e getta”. L’accusa è che il decreto più che rilanciare l’occupazione rilancia la precarietà. Innanzitutto bisogna dire che il governo sta lavorando alacremente anche ad un disegno di legge delega che completa la riforma e che dovrebbe costituire la parte più sostanziale. Dunque si tratta solo di un primo passo. Ma è un passo buono o falso? Sono due le decisioni più importanti del decreto. La prima modifica il precedente contratto a termine che non doveva superare i 12 mesi e poteva essere prorogato solo due volte. Ora è possibile prolungarlo fino a 36 mesi, tre anni, e senza dare alcuna giustificazione. Inoltre entro questo periodo può essere prorogato fino ad otto volte. Però il numero dei lavoratori assunti con questo contratto non deve superare il 20% del totale.

Obiettivamente siamo di fronte ad un allargamento delle forme precarie di lavoro. Durante il lungo periodo di tre anni il lavoratore può essere lasciato a casa in ogni momento senza alcuna motivazione. La seconda decisione riguarda l’apprendistato. È eliminata la norma che obbliga ad assumere a tempo indeterminato il 30% degli apprendisti presenti prima di averne di nuovi. Gli apprendisti possono raggiungere fino la metà dell’intera forza lavoro dell’azienda. Inoltre non c’è più l’obbligo di presentare per l’apprendista un piano di formazione scritto. Anche in questo caso c’è un allargamento delle maglie. Più flessibilità e quindi più precarietà. Non per niente il decreto ha avuto l’approvazione da parte della Confindustria.

Il governo si difende dicendo che si tratta di provvedimenti di emergenza per dare uno scossone al mercato del lavoro e comunque a offrire alla massa dei disoccupati, in primo luogo ai giovani, una possibilità di lavoro. Meglio poco che niente. È proprio di questi giorni l’ultimo dato drammatico sulla disoccupazione: 13%, per i giovani il 42,3%. Ma è tutto da dimostrare che questo serva a svegliare la nostra economia. In realtà la precarietà del lavoro non è mai stata stimolo per la ripresa economica, ne è stata piuttosto la malattia mortale. È, invece, preparando lavoratori ben attrezzati professionalmente e garantendo loro sicurezza lavorativa che l’economia si irrobustisce. Bravi operai e sereni riguardo al loro futuro, stimolano imprenditori a innovare. Queste norme dovrebbero essere presto superate per fare spazio alla parte più interessante della riforma annunciata, la proposta del “Contratto unico a tutela crescente”. È ancora vaga, ma dovrebbe far sparire la selva dei contratti ora esistente, che è la vera causa della precarietà, e stabilire un solo contratto che prevede l’assunzione provvisoria, ma che a mano a mano che passa il tempo diventa più stabile, cioè diventa sempre più oneroso per il padrone licenziare il lavoratore, fino a diventare, dopo tre anni, un contratto a tempo indeterminato. Inoltre sarebbero aboliti gli attuali ammortizzatori sociali per un sussidio di disoccupazione garantito a tutti i lavoratori di qualsiasi tipo. Ma questo quando avverrà? l governo Renzi si trova di fronte ad un dilemma.

Deve fare presto perché il paese lo esige e perché lui stesso ha promesso la massima velocità, d’altra parte non può scavalcare prassi democratiche garantite dalla costituzione. L’autoritarismo è una brutta bestia che può fare gravi danni. Meglio tenerla lontana. Bisogna poi tener conto della complessità delle dinamiche sociali dove ci sono tanti soggetti implicati nel gioco che non si possono trascurare impunemente. Un certo fastidio dimostrato da Renzi nei confronti delle parti sociali, soprattutto dei sindacati, che sarebbero più che altro un freno, porta a contrasti che mettono in pericolo tutto il progetto. Non passiamo all’estremo opposto rispetto alla lentezza inconcludente degli anni passati. Un po’ più di calma eviterebbe passi falsi.

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