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VERSO UN GOVERNO DRAGHI?

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga

VERSO UN GOVERNO DRAGHI?

Dal naufragio del “Conte bis” non è nato il “Conte ter”. Il Capo dello Stato ha incaricato Mario Draghi, già Presidente della Banca centrale europea, di valutare se vi sono le condizioni per un nuovo governo. Nel momento in cui scriviamo (mattina di mercoledì 10 febbraio) non è ancora ufficiale se dal secondo giro di consultazioni nascerà una nuova compagine di governo (di tecnici o di politici?). A prescindere da questo non piccolo particolare, è senza dubbio possibile fare alcune considerazioni alla luce dello spettacolo cui abbiamo assistito in queste ultime settimane.

La prima. Renzi, l’inventore del Conte bis, è stato anche quello che lo ha fatto naufragare. L’operazione del fondatore di Italia Viva è risultata audace. È vero che la credibilità di alcuni ministri del Conte bis era profondamente minata. Tuttavia, non faceva parte anche Renzi, fino a un momento prima, di quella maggioranza? Non gli era davvero possibile avviare una riforma “dal di dentro” senza esporre il Paese all’ennesima crisi in un momento così difficile per l’Italia? Comunque sia, la sua operazione appare tatticamente vincente “dal suo punto di vista”: è riuscito a rovesciare il banco, facendo saltare Conte e aprendo la strada ad un altro governo nel quale potrà giocare ancora le sue carte. Inoltre è riuscito, almeno per ora, ad evitare le elezioni anticipate, che lo avrebbero visto – molto probabilmente – messo in un angolo.

La seconda considerazione riguarda i tentativi fatti da Conte per recuperare “costruttori” e “responsabili” fino all’ultimo istante. Conte ha cercato di restare in piedi, ma non ce l’ha fatta. Non è riuscito a trovare in Senato un numero sufficiente di “alleati”. Anche questo spettacolo, con i “tira e molla” di chi sembrava concedersi e poi non lo ha fatto, è stato poco decoroso. Al di là delle facili accuse di “trasformismo” che sono state rivolte a quanti, pur non appartenendo alle forze di governo, si sono schierati per Conte, era abbastanza evidente che si trattava di una missione impossibile. Ne sarebbe risultato comunque un governo altamente instabile, esposto ai “mal di pancia” di chicchessia. Il Presidente del Consiglio ha fatto l’unica cosa possibile: salire al Quirinale e rassegnare le dimissioni.

Mattarella – ed è la terza considerazione – ha agito con prontezza prospettando due possibilità: le elezioni – che potevano apparire come l’unico sbocco ad una tale crisi – oppure tentare di formare “un governo di alto profilo, che non debba identificarsi con nessuno forza politica” (che poi ha preso il nome di Draghi). Per il Presidente le elezioni avrebbero rappresentato, in questo momento, un grave rischio sanitario ed economico e pertanto ha preferito fare il tentativo di un nuovo governo, indicando un nome che, per la verità, circolava già da tempo. “Per fortuna che Mattarella c’è!” ha detto qualcuno, perché ha dato prova di responsabilità, sagacia, capacità di decisione, nel mezzo della confusione imperante. A dispetto di chi, solo qualche tempo fa, lo accusava, con epiteti irripetibili, di immobilismo e di impalpabilità, Mattarella si è rivelato ancora una volta un punto di riferimento sicuro.

In queste lunghissime settimane – ed è la quarta considerazione –, la politica italiana ha manifestato la sua congenita litigiosità e la sua fragilità. Anche la sua pochezza. Il fatto che si debba, per l’ennesima volta, invocare un “tecnico”, un non politico, per reggere le sorti del governo la dice lunga sulle incapacità del sistema politico. Chi è stato eletto per governare, alla fine, si deve affidare a qualcuno “da fuori” per fare quello che dovrebbe fare il politico! Una “contraddizione in termini” che smaschera la vacuità della politica italiana. E ciò non dipende solo dalla riforma elettorale: è una questione di formazione politica, di senso di responsabilità, di leadership partitica, di etica delle persone… Si aggiunga poi il fatto che, individuato il nome di Draghi, in molti sembrano attendersi da lui chissà quali prodigi e rimedi. Si è accesa una sorta di attesa messianica che mette d’accordo tutti (eccetto – sembra – la Meloni), con rovesciamenti di fronte e di visioni politiche impensabili solo pochi giorni addietro: anche Salvini – solo per citare un esempio – si riscopre “europeista”.

Tuttavia Draghi, per quanto bravo, non potrà fare miracoli. Certo, avrà a disposizione i milioni di euro che proverranno dall’Europa, ma si troverà davanti uno scenario durissimo: una sanità messa alla prova, larghe fasce di popolazione stanche di un anno di lockdown più o meno rigido, un sistema-scuola in ebollizione, un’economia in profonda crisi e in alcuni comparti in profondissima crisi (a marzo finirà il blocco dei licenziamenti...). Non basta un uomo forte al comando. Lo sanno anche i bambini. Ci vuole una classe politica che lasci da parte gli interessi di partito e cerchi l’interesse dell’intero Paese. Cose dette e ridette! Ci riusciremo almeno questa volta?

Alessio Magoga

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