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VESCOVI E AUTONOMIA

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

Parole chiave: Lega (2), vescovi (13), Cei (10), Italia (19), autonomia (2), regioni (1), Veneto (19)
VESCOVI E AUTONOMIA

«Il Sud ha capito che la riforma è un cavallo di Troia per creare due Italie: una prospera, l’altra abbandonata a sé stessa»: forse questa è la frase che sintetizza al meglio il pensiero di mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Ionio, come emerge dall’intervista pubblicata lo scorso 28 agosto su Repubblica. Un’intervista che ha suscitato – e sta suscitando – reazioni molto diverse: di “plauso” tra i contrari alla legge sull’autonomia differenziata, promulgata il 26 giugno dal Presidente Mattarella, e tra i fautori della raccolta firme per il referendum abrogativo della legge; di “fastidio” tra i sostenitori dell’autonomia che si sentono attaccati – a loro avviso in modo del tutto gratuito e ingiustificato – dalla Chiesa italiana.

In realtà, andrebbe precisato che mons. Savino, per quanto si possa ritenere autorevole, dal momento che è “vice presidente per l’area Sud” della Conferenza episcopale, non è rappresentativo dell’intero episcopato italiano e in quell’intervista parlava a titolo personale. Giova ricordare che il 14 agosto (una data un po’ infelice e forse per questo se ne sono accorti in pochi) Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale delle comunicazioni sociali della Cei, affermava che «non c’è mai stata né mai ci sarà un’indicazione da parte della Conferenza episcopale italiana a raccogliere firme contro la legge sull’autonomia differenziata. E soprattutto a farlo nelle parrocchie». Corrado commentava così le notizie di quei giorni circa il coinvolgimento delle parrocchie nella raccolta firme per il referendum contro l’autonomia differenziata: come a dire che la Chiesa italiana rivendicava una posizione di equilibrio e di imparzialità nei confronti di un tema così complesso, come quello dell’autonomia differenziata, sul quale si era già espressa con una “Nota” approvata dal Consiglio permanente della Cei e diffusa lo scorso 24 maggio.

A quella “Nota”, quindi, bisogna tornare per comprendere il pensiero dei vescovi. Ed una sua lettura attenta permette di cogliere il senso dell’intervento della Cei, che va più nella direzione di una “moral suasion” (un “appello morale” rivolto al mondo della politica) piuttosto che di un “no” categorico alla legge sull’autonomia differenziata. La “Nota” non entra tanto sul “merito” dell’autonomia differenziata, ma ribadisce in modo molto forte – e bisogna dire anche giustamente – il valore del camminare “insieme” come Paese. La “Nota”, parimenti, esprime il timore che l’autonomia differenziata faccia venire meno, o comunque indebolisca, il principio di sussidiarietà e il senso di solidarietà e di unità della nazione. L’intervento di mons. Savino ribadisce, in modo forse un po’ scomposto, questo tipo di preoccupazione.

Il possibile esito “disgregativo”, paventato dai vescovi italiani, più che il frutto dell’autonomia differenziata in sé potrebbe essere il risultato di un certo modo di attuarla. Per questo, appaiono assolutamente decisive sia la questione della determinazione dei Lep (i livelli elementari delle prestazioni) sia quella delle competenze (per evitare indebite sovrapposizioni o contrapposizioni tra Stato e Regioni). La “Nota” dei vescovi italiani e, a suo modo, anche l’intervento di mons. Savino potrebbero avere l’effetto positivo di stimolare il dibattito in vista di un effettivo chiarimento su questi aspetti “tecnici” che si rivelano, alla fine, decisivi per il successo (o l’insuccesso) del progetto. Su questa linea, sembra essersi mosso il Presidente del Veneto, Luca Zaia, che ha subito manifestato la disponibilità a interloquire con i vescovi per offrire – a sua detta – tutti i chiarimenti necessari: potrebbe essere l’occasione per un dialogo che giova non solo ai vescovi ma anche all’intera opinione pubblica, al fine di farsi un’idea più precisa sulla legge sull’autonomia differenziata e comprenderne meglio i vantaggi (o gli svantaggi).

Al di là di alcune oggettive criticità, che possono però pregiudicarne l’esito e su cui bisogna effettivamente vigilare, bisogna riconoscere che il percorso verso l’autonomia differenziata trova il suo fondamento nella Costituzione stessa: il riferimento, qui, è al terzo comma dell’articolo 116 della Carta costituzionale, che è stato introdotto nel 2001 (legge cost. n. 3/2001). In secondo luogo, l’idea di assegnare maggiore autonomia alle singole regioni ha, dalla sua parte, almeno un indubbio aspetto positivo: quello di motivare gli “attori” presenti sul territorio (in questo caso le Regioni) ad un maggiore senso di responsabilità, assumendo più direttamente la gestione delle risorse locali ma anche l’onere del loro concreto utilizzo. Si potrebbe superare così un certo immobilismo, senza delegare o aspettare, talvolta con un atteggiamento passivo o assistenzialistico, l’intervento da parte dello Stato “centrale”.

Alessio Magoga

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