L'arte di educare
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L'arte di educare - L’“essere” prima del “fare”

La rubrica a cura di Matteo Pasqual.

L'arte di educare - L’“essere” prima del “fare”

Un tempo arrivava a casa la vecchia zia impicciona e dopo aver speso un po' di tempo con i genitori si rivolgeva a noi bambini facendoci la solita domanda ingombrante: “e tu cosa farai da grande?”. Uno sguardo imbarazzato, un sospiro che celava smarrimento e un po' di irritazione erano il preludio ad una risposta stentata che dava realtà all’incertezza che si cercava di nascondere. Era la domanda delle domande, posta nel momento meno opportuno dalla persona meno opportuna.

Questo “farai”, per chi come me si arrampicava sugli specchi, aveva un peso terribile perché ci sbatteva in faccia l’incapacità di immaginarsi compiuto, all’altezza della nostra missione che si sarebbe attuata quando finalmente saremo diventati “grandi”.

Oggi che sono “grande”, mi fermo a guardare gli altri e a chiedermi se basta quel “fare” a trasformarci adulti.

Credo che la domanda delle domande nel nostro tempo dovrebbe essere modificata e dovrebbe suonare più o meno così: “chi sarai da grande?”.

Sembra un cambio semplice, sembra un virtuosismo grammaticale, ma è uno spostamento di asse completo, veniamo sbalzati improvvisamente dall’altra parte della questione e il traguardo si tramuta, inesorabilmente.

Il “fare” e l’“essere” sembrano confondersi perché la risposta potrebbe essere la stessa, potrebbe andar bene comunque per entrambi i verbi, ma in realtà ci richiede uno sforzo di fondo ben diverso.

Vuol dire rimpossessarsi del valore della persona a discapito del professionista, vuol dire ricollocare al centro la dignità della persona rispetto al mestiere che ella compirà, vuol dire dare voce ai ruoli di vita piuttosto che a quelli economici.

Il “chi” sarò non può essere annacquato dal “cosa” farò. Noi genitori, educatori non possiamo abbassare la mira, accontentarci del “cosa” quando in ballo c’è il “chi”. Non dovrebbe interessarci solo cosa farà da grande il nostro ragazzo, ma dovremmo lottare con tutte le nostre forze per assicurarci chi sarà da adulto.

Purché sia lecito e legale qualsiasi lavoro andrà bene. Dovremmo interrogarci su come sarai quel lavoratore, è quella la differenza, è quello a cui dobbiamo puntare, è lì che ci è chiesto di arrivare. L’età fa diventare grandi, ma non adulti. L’adultità è il traguardo sognato dal Buon Dio perché ciascuno di noi possa dirsi felice, santo. Ed è anche quello che ci chiedono gli altri, la nostra comunità di appartenenza sempre più bisognosa di adulti che scelgono liberamente di impegnarsi per il bene comune.

L’altro giorno ero in una classe delle scuole medie dove svolgo il mio impegno come pedagogista e ho posto proprio questo quesito per giocare un po' con loro nei termini di cui stiamo parlando.

Ho ricevuto un regalo straordinario da un ragazzino, quello più timido in fondo all’aula, quello che non si fa mai sentire, quello che ogni tanto scompare surclassato dal vociare della classe. Al termine del foglio strutturato come una carta d’identità, per imparare a conoscerci, c’era proprio questa frase “da grande sarò…”. Lui è stato l’unico a scrivere “.. un padre”.

Mi sono commosso immaginando suo padre quando gli comunicherò questo.

Osiamo di più, alziamo lo sguardo, puntiamo in alto e troveremo molte più occasioni per commuoverci.

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