Sulle strade del mondo
La riflessione sulla Parola di Dio domenicale.
Domenica 28 maggio - Ascensione del Signore - anno A - salmi propri - colore liturgico bianco At 1, 1-11; Sal 46; Ef 1, 17-23; Mt 28, 16-20 Ascende il Signore tra canti di gioia
L'Ascensione è una festa difficile: come si può far festa per uno che se ne va? Il Signore però non è andato in una zona lontana dal cosmo, ma, incredibilmente, è più vicino. Se prima era insieme ai suoi discepoli, ora è dentro di loro. Gesù è andato avanti come un esploratore che precede la carovana, se ne è andato con un atto di enorme fiducia nell’uomo. Se ne va lasciando sulla terra quasi niente: un gruppetto di uomini spauriti e sfiduciati e alcune donne che invece sono coraggiose e fedeli, e Lui torna dal Padre. A questi che dubitano ancora, e a noi e alle nostre paure e infedeltà, affida il mondo. Ci spinge a pensare in grande, a guardare lontano, oltre. Perché ha fiducia L’ nell’uomo, ha fiducia in me, più di quanta ne abbia io stesso; sa che posso diventare lievito, e forse persino fuoco, e contagiare di Spirito e di nascite chi mi è affidato.
San Paolo dice con forza: “Guai a me se non predico il Vangelo!”, e questo vale per tutti: per il Papa e per la casalinga, per il prete e per l’operaio. Il mandato di Gesù è personale. La delega non è ammessa. Essere di Cristo e annunciare Cristo non si possono separare. Una fede da pensionato non appartiene al cristiano. Gesù sul monte dell’Ascensione ha passato il testimone agli Apostoli e attraverso di loro a ciascuno di noi. Non c’è che da stringerlo tra le mani e partire per tutte le strade del mondo, che ora è il “nostro piccolo villaggio”. Purtroppo il clima che respiriamo è “deresponsabilizzato”, tanto che amiamo giocare al “tocca a lui” anziché al “tocca a me”. Il male che è nella società civile, politica e anche nella realtà ecclesiale ha la sua radice proprio nella “deresponsabilizzazione” personale (non ci prendiamo le nostre responsabilità di annunciatori del Vangelo!). Un altro “tumore maligno” della nostra società è il correre dietro ai sogni fumosi, lo “stare a guardare il cielo” anziché scendere per strada e mettersi alle stanghe e tirare il carretto della fatica. Eppure l’essere missionario per il cristiano è come il respiro per l’uomo.
Certo non è un compito facile. Non a caso S. Paolo ci ricorda oggi che in aiuto ci è dato il dono dello Spirito Santo, così da comprendere quale grande speranza è affidata alle nostre mani. Ed è nel lasciarsi possedere dallo Spirito Santo che si è capaci di riconoscere i segni della presenza di Cristo, Signore della Storia, tanto da essere pronti a “prostrarsi ai suoi piedi” e sentirsi sostenuti da questa sua costante “presenza-assenza”. Il battesimo e la cresima ci hanno “marcato la fronte” per sempre: siamo in “missione speciale”, come persone e come comunità, ogni giorno e in ogni spazio. Missione impossibile, dunque? Fatta apposta per pochi eroi, per gente disposta a tutto, non per uomini e donne comuni, che schiattano alla prima prova? No. Gesù non è uno che lancia in imprese sconsiderate. Affida un compito, ma assicura anche una presenza: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. È la certezza di non essere in balìa del caso, nelle mani della cattiveria e della violenza umana, ma accompagnati, seguiti a vista d’occhio, sostenuti e preceduti dal Signore Gesù, e questo ci basta!
Don Piergiorgio Sanson
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