Vogliamo vedere Gesù
La riflessione sulla Parola di Dio domenicale.
Domenica 18 marzo - V di Quaresima - anno B - prima settimana del Salterio - colore liturgico viola Ger 31, 31-34; Sal 50; Eb 5, 7- 9; Gv 12, 20-33 Crea in me, o Dio, un cuore puro
Gesù è a Gerusalemme durante i giorni che precedono la sua ultima Pasqua. Cammina sotto i portici del tempio. Alcuni greci, credenti in Dio ma non appartenenti al popolo ebreo, vogliono “vedere Gesù”. Ma non tanto con gli occhi. Vogliono parlare con lui a quattr’occhi. Vogliono fare esperienza di Gesù. Ne parlano a Filippo, che ha un nome greco. Filippo è un po’ incerto, pensa che non sia il caso. Poi per scrupolo ne parla ad Andrea che, essendo uno dei primi apostoli, ha un peso importante nelle decisioni. E noi? Noi vogliamo vedere Gesù? Abbiamo nel cuore il desiderio autentico di conoscerlo, di entrare in intimità con Lui e con la sua Parola, di G scovare il suo volto nascosto tra i mille incontri di ogni giorno, di mettere nelle sue mani le decisioni più importanti della vita, di affidargli le persone che amiamo e quelle che non amiamo abbastanza? Forse i greci si aspettavano una rivelazione trionfale, invece Gesù si presenta come il seme che sprofonda nell’oscurità della terra per marcire e portare frutto. “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.
Il vero volto, la verità del chicco consiste nella sua storia breve e splendida. È una legge della natura che non manca mai di stupirci. Il seme deve conoscere la morte nel profondo della terra per far nascere una nuova vita e portare frutto. A vederlo marcire sembra che ogni speranza venga meno, che tutto finisca: ad uno sguardo disattento questo appare come l’insuccesso più cocente, il fallimento più completo. La vita, ghermita dalla morte, sembra destinata a soccombere. E invece no: è solo un capitolo della storia, il momento più terribile e doloroso, certo, ma non l’ultimo.
Paradossalmente, proprio da ciò che marcisce e sembra irrimediabilmente perduto, esce la vita e un frutto abbondante, insperato. Nessuno può affrontare la croce e la morte, se non è sorretto da una fiducia incrollabile in Dio, se non è disposto ad abbandonarsi a Lui, certo di essere in buone mani. Il turbamento c’è e Gesù lo ammette. E in questo è straordinariamente vicino a noi, ai nostri dubbi e alle nostre paure. Ma c’è anche una fiducia incrollabile nel Padre, un Padre che non abbandona il suo Figlio nelle mani della morte, un Padre che non ci abbandona perché siamo suoi figli. Solo la fede, una grande fede, permette al discepolo di affrontare i momenti oscuri in cui è chiamato a morire all’egoismo e all’orgoglio, alle sue sicurezze e ai suoi progetti. Ma c’è una seconda immagine, che Gesù offre di sé, oltre al chicco, è la croce: “Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”. Io sono cristiano per attrazione, sedotto dalla bellezza dell’amore di Cristo. La suprema bellezza del mondo è quella accaduta sulla collina fuori Gerusalemme, quando l’infinito amore si lascia inchiodare in quel niente di legno e di terra che basta per morire. E poi risorgere, germe di vita immortale. Perché ciò che si oppone alla morte non è la vita, è l’amore.
Don Piergiorgio Sanson
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