Facciamo parte della stessa, fragile e sofferente umanità
L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.
C'è troppa violenza in giro. C’è troppo dolore. Penso alla violenza degli attentati di questi giorni a Manchester, a Londra e a Parigi… Ma penso anche a quella degli attentati in Egitto contro i cristiani copti e a quella delle bombe fatte esplodere i giorni scorsi in Iraq e in Afghanistan. Non sono vittime della violenza anche quelle? E che dire della guerra in Siria? O dei migranti annegati in mare e di quelli morti di sete su di un camion durante la traversata del deserto nordafricano, di cui è giunta notizia qualche giorno fa? Mi ferisce anche la violenza che divide i vicini e trasforma in inferno quotidiano una relazione di prossimità che dovrebbe essere invece garanzia di solidarietà.
Mi feriscono le parole cariche di odio e di disprezzo che si leggono nei social-media – Facebook, Twitter e le altre piattaforme interattive del web – dove si vomitano il proprio rancore e le proprie frustrazioni contro l’avversario di turno. Anche Bebe Vio ne ha fatto le spese, accusata di trarre vantaggio dal proprio handicap. Persino il governatore del Veneto, Luca Zaia, colpevole di essersi fatto fotografare insieme a Isaac Donkor, un giocatore nero in forza al Cesena. Qualche giorno fa Evan Williams, co-fondatore di Twitter, ha chiesto scusa al mondo perché questa sua creazione è divenuta il mezzo di comunicazione preferito da Trump e sembra ne abbia favorito l’ascesa alla Casa Bianca. In realtà i social-media sono strumenti attraverso i quali si veicola di tutto e la vittoria di Trump appare il minore dei mali (ammesso che debba essere considerato un male).
Sul web proliferano la retorica della guerra e l’incitamento al terrorismo. Non serve essere particolarmente smanettoni – cioè, abili a muoversi in internet – per vedere filmati di azioni reali di guerra con tanto di morti in diretta. Tralasciamo il “deep web”, che è l’internet profondo, quello al quale accedono davvero solo i più esperti, in cui avvengono traffici di ogni sorta, armi e droga comprese. Anche grazie a questi mezzi – certo, non solo questi – si “radicalizzano” gli estremisti islamici, che vengono progressivamente convinti e spinti ad attuare azioni terroristiche.
C'è un’aria avvelenata. La si respira pure nella politica, anche quella nostrana, sempre altamente litigiosa e divisiva. Ma anche nella Chiesa. Basta leggere le aggressioni verbali nei confronti del Pontefice da parte di una fazione – forse sparuta ma quanto mai virulenta – che non perde occasione di demolire l’operato di Bergoglio, considerato alla stregua di un antipapa, quasi fosse un distruttore della fede. Fanno male anche certi interventi improvvidi di qualche presule che si prende la briga di giudicare le vite spezzate a Manchester: a suo avviso, si tratta di “giovani venuti al mondo molte volte neanche desiderati” e “morti senza ragioni” come hanno vissuto.
C'è troppa violenza. Certo, qualcuno suggerisce che c’è anche dell’altro: ci sono i fatti positivi, i gesti di bene e di solidarietà (e noi li raccontiamo ogni settimana in queste pagine)... Ma ce ne vogliono tanti per controbilanciare tutto questo immenso dolore che offusca la vista. Ci vogliono davvero tanti gesti di bene per non cadere nel cinismo e per rimediare a tutta questa sofferenza. O forse possiamo sperare che tutto questo soffrire ci dilati il cuore e ci faccia capire una volta per tutte che facciamo parte della stessa identica, fragile e sofferente umanità, di cui dobbiamo prenderci cura insieme. «Tutti i figli di Adamo formano un solo corpo – dice il poeta persiano Saadi di Shiraz –, sono della stessa essenza. Quando il tempo affligge con il dolore una parte del corpo, le altre parti soffrono. Se tu non senti la pena degli altri, non meriti di essere chiamato uomo».
Alessio Magoga
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