"IL CHIACCHIERICCIO CHE UCCIDE"
L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga
«Chiediamoci: io sono una persona che divide o condivide? Sono discepolo dell’amore di Gesù o un discepolo del chiacchiericcio, che divide? Il chiacchiericcio è un’arma letale: uccide. Uccide l’amore, uccide la società, uccide la fratellanza. Sono una persona che divide o una persona che condivide?». Potrebbero bastare queste parole, pronunciate da papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa, per verificare il nostro atteggiamento e il nostro modo di collocarci all’interno della Chiesa. Sempre, certo, ma in modo particolare in questo momento, dopo la morte del papa emerito Benedetto XVI. Non pochi infatti – sia dentro sia fuori la Chiesa – “chiacchierano” di divisioni, di rancori, di contrapposizioni, magari anche con un certo compiacimento, ingigantendo e di fatto favorendo forme di radicalizzazione e di polarizzazione all’interno delle comunità cristiane.
Per l’amore che Benedetto XVI aveva nei confronti della Chiesa e della sua unità, il minimo che si possa dire è che tutto questo “chiacchiericcio” è decisamente contrario alla sua sensibilità e più ancora al suo pensiero, tutto orientato ad un fortissimo amore nei confronti di Cristo (“Signore, ti amo” le ultime parole che ha pronunciato che sintetizzano quasi lo sforzo e l’impegno di tutta la vita) ed insieme ad uno straordinario affetto, sebbene sofferto, per la Chiesa: per questa Chiesa concreta, costituita sia di grano buono sia di zizzania. In una conferenza del ’70, dal titolo emblematico “Perché sono ancora nella Chiesa”, l’allora teologo Ratzinger metteva in guardia dalla tentazione – sempre risorgente, anche nei tempi postconciliari – di disgregare l’unità della Chiesa: «Al posto della “Sua” Chiesa [cioè della Chiesa del Signore, ndr] è subentrata la nostra e con essa le molte chiese: ognuno ha la propria. Le chiese sono diventate “nostre” imprese, di cui siamo orgogliosi o ci vergogniamo, tante piccole proprietà private che stanno una accanto all’altra: chiese soltanto “nostre”, che noi stessi costruiamo, che sono opera e proprietà nostra, e che noi vogliamo trasformare o conservare come tali. Dietro alla “nostra Chiesa” è scomparsa la “Sua Chiesa”. Ma solo quest’ultima interessa e, se non esiste più, anche la “nostra” Chiesa deve abdicare. Se fosse soltanto nostra, la Chiesa sarebbe solo un inutile gioco da bambini».
Se comprendiamo questo punto di vista, allora, risulta del tutto fuori luogo – anzi è un vero e proprio affronto alla memoria di Ratzinger – appellarsi a lui per contrapporsi a Bergoglio e distinguere una chiesa di Benedetto da una chiesa di Francesco. Ciò significa semplicemente non aver compreso nulla del messaggio del Papa emerito: il silenzio dei suoi ultimi anni, immersi nella preghiera del monastero “Mater Ecclesiae” (Madre della Chiesa!), è una manifestazione plastica del suo modo di intendere e di salvaguardare l’unità della Chiesa. Ciò non toglie che ci siano delle accentazioni e delle sensibilità diverse tra i due pontificati, che affondano le proprie radici nelle differenti personalità di Benedetto e Francesco, formatisi lungo due percorsi biografici e teologici diversi. Ciò non significa, tuttavia, che si tratti di due visioni di Chiesa tra loro contrapposte e inconciliabili come taluni – per crassa ignoranza oppure, molto peggio, per luciferina malafede – sono andati e vanno ripetendo. Pertanto, ha davvero ragione papa Francesco: se non sappiamo cosa dire, possiamo tacere; se il nostro parlare (e il nostro scrivere) non è a beneficio dell’unità della Chiesa, possiamo anche scegliere il silenzio.
Alessio Magoga
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